La notizia è recente e di quelle importanti: per le pressioni dell'opinione pubblica, dopo la Germania, anche il Giappone annuncia il suo addio al nucleare, almeno per il 2040, tra circa 25 anni.
È vero, il 2040 è ancora lontano e il prossimo governo giapponese potrebbe ribaltare la decisione. E in futuro un altro governo potrebbe invertire l'inversione. Ma non è questo il punto. Il punto è il segnale inviato da Tokio che il nucleare non può più contare sulla stabilità degli investimenti economici futuri.
Certo, da tempo la Germania ha annunciato il suo addio all'energia nucleare e il piano tedesco va avanti, pur con difficoltà tecniche e economiche. Tuttavia, il peso specifico del Giappone per l'energia nucleare è ben più alto di quello della Germania. Numeri alla mano, prima dell'incidente di Fukushima, nel 2010 in Giappone vi erano 54 centrali nucleari attive e connesse alla rete elettrica, producenti circa il 30 per cento del totale dell'energia elettrica. In Germania nel 2010 v'erano solo 17 reattori, per il 23 per cento del totale dell'energia elettrica tedesca. Fatto ben più importante, però, è che a differenza della Germania il Giappone nutre (nutriva) piani ambiziosi di espansione del nucleare, sia per la produzione nazionale - l'obbiettivo era raggiungere il 50 per cento del totale di energia elettrica - che per l'industria ad essa associata. A differenza della Germania, infatti, il Giappone possiede (possiedeva) un'industria nucleare nazionale fortemente proiettata verso l'esportazione. In altri termini, se la Germania è sempre stato un paese generalmente diffidente verso il nucleare, pur senza raggiungere gli estremi italiani, il Giappone è invece da sempre a favore del nucleare, forse il sostenitore più importante.
La decisione del Giappone di abbandonare il nucleare è certamente importante per i giapponesi, ma potrebbe rivelarsi uno dei grandi punti di svolta nella storia dell'energia. Per un'industria ad alta intensità di capitale e fortemente dipendente da investimenti di lungo periodo come quella nucleare, questo può essere un colpo mortale. Qualora i piani di Tokio per l'addio al nucleare dovessero proseguire, infatti, proprio l'importanza del nucleare in Giappone è garanzia di ripercussioni negative per l'intero settore nucleare mondiale. Per alcuni la decisione di Tokio è una buona notizia. L'eliminazione del nucleare, seppur graduale, non potrà che rafforzare la domanda di gas e petrolio (e carbone) per lungo tempo, fintanto che le rinnovabili non acquisiranno quote di mercato più rilevanti. Non v'è dubbio che a Mosca Gazprom e il Presidente Putin abbiano celebrato festeggiato la decisione giapponese.
Ma vi è un messaggio più ampio che val la pena considerare qui. L'annuncio dell'addio al nucleare in Giappone per la contrarietà e le proteste dell'opinione pubblica rende evidente come, nei paesi democratici, l'energia nucleare non può più contare sulla stabilità degli investimenti a lungo termine di cui abbisogna per sopravvivere e prosperare. Del tutto similarmente a Germania e Giappone, la stessa inversione potrebbe avvenire negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia o in qualsiasi altro paese democratico oggi a favore del nucleare. Questa incertezza politica, e corrispettivamente normativa, non può che impattare negativamente sulla fiducia di investitori, industria e responsabili delle politiche monetaria e/o energetica nei confronti dell'energia nucleare. Il messaggio inviato da Tokio allora, forte e chiaro, è che l'energia termonucleare convenzionale non è più da considerarsi l'energia del futuro. Corrispettivamente, il settore nucleare diviene un settore in declino.
Il fatto è che l'energia nucleare non può prescindere da pianificazioni a lungo termine. La recente proposta di Cameron per un nuovo rinascimento nucleare inglese, rivela come il nucleare con requisiti di sicurezza da terzo millennio - quello da 6 miliardi di euro a Gigawattora, per intenderci - non sta in piedi sui mercati elettrici più competitivi se lo Stato non si fa garante per la parte finanziaria, sui fondi di garanzia per la banche e per la continuità di esercizio. In altri termini, il nucleare è Stato. In questo contesto, l'abbandono del nucleare di Germania e Giappone, oltre al no dell'Italia nel recente referendum, sono la dimostrazione plastica che per dare un futuro all'energia nucleare si impone al legislatore la necessità di bypassare, se necessario, la volontà dell'opinione pubblica nella pianificazione energetica e economica per decenni a venire. Ma che futuro è mai questo?
Filippo Zuliani