Veronica Caciagli
Come finanziare la "sfida verde" in tempi di crisi? Se n'è parlato la scorsa settimana a Villa Wolkonsky, residenza dell'Ambasciatore Christopher Prentice, in occasione del convegno organizzato dalla rappresentanza britannica a Roma, per confrontare la ricetta italiana e quella inglese in termini di opportunità di finanziamento di un'economia a basso contenuto di CO2. Presenti il Ministro dell'Ambiente Corrado Clini e il Ministro dell'Energia e dei Cambiamenti Climatici britannico Gregory Barker. "La giustificazione economica che sottende i nostri sforzi è solida, pur non essendo il fattore prioritario", ha subito chiarito l'Ambasciatore. "La cura per l'ambiente e la ricerca di nuovi metodi per stimolare la crescita, senza arrecare ulteriori danni irreversibili, è un obiettivo nobile di per sé. La temperatura della superficie terrestre è aumentata di circa 0,8°C e 0,5°C, rispettivamente dal 1900 e dagli anni 70 ad oggi. Pur immaginando la scomparsa totale di emissioni di gas serra, il mondo sarebbe già di per sé condannato ad un ulteriore aumento di 0,6°C. Ci stiamo muovendo verso un territorio sconosciuto, in cui è giusto dare priorità alla crescita del settore ecologico", ha concluso Prentice.
Anche il Ministro Barker ha voluto sottolineare la sostenibilità economica di questa rivoluzione: "la crescita dell'industria verde e del settore delle tecnologie a bassa emissione di CO2 sono due temi prioritari nella politica del governo di coalizione britannico. È nostra ferma convinzione, infatti, che il settore delle tecnologie pulite rappresenti una valida via verso la ripresa economica." A livello mondiale, infatti, il valore delle aziende green è stato stimato attorno ai 4.000 miliardi di Euro, secondo una definizione di "economia verde" che, giustamente, non comprende solo le imprese che si considerano esplicitamente "green"(come gli operatori delle rinnovabili), ma anche quelle che, di fatto, perseguono questa sfida. La trasformazione, spiegano Stefano Pogutz, docente della Bocconi e Anna Lambiase, amministratore delegato di VedoGreen, deve essere portata avanti in tutti i settori, trasversalmente.
Le politiche UK per un futuro low carbon sembrano, a questo riguardo, piuttosto avanzate. Comprendono innanzitutto il Climate Change Act, un piano di lungo termine per una riduzione delle emissioni dell'80% entro il 2050, con una serie di budget di emissioni a breve e medio termine, ma anche uno strumento come il Green Deal per l'efficienza energetica nell'edilizia privata e la nuova e attesissima Green Investment Bank, che dovrà fornire capitali per 4 miliardi di sterline a investimenti ecologicamente sostenibili. Il Regno Unito del resto, conferma Barker, ha le idee chiarissime e intende appoggiare l'impegno dell'Europa di aumentare il target di riduzione delle emissioni di CO2 dal 20 al 30%.
Gli fa eco il Ministro Clini, secondo il quale le aziende della green economy rappresentano "la parte più vivace e sana dell'economia italiana". Pur riconoscendo che alcune di queste imprese sono, in passato, cresciute anche grazie agli incentivi, non va infatti dimenticato che questi aiuti "hanno permesso la creazione di 100.000 nuovi posti lavoro: una fetta importante dell'economia italiana." La situazione italiana tuttavia, spiega Clini, "si confronta sulla base di una situazione economica e di regolamentazione molto diversa da quella della Gran Bretagna: l'Italia, è sottoposta ai vincoli del Patto di Stabilità, che limita la capacità di investimento pubblico."
Uno strumento importante per una trasformazione low carbon potrebbe, dunque, essere un cambiamento nella fiscalità: a livello europeo, una fiscalità energetica omogenea potrebbe, ad esempio, aiutare il raggiungimento di obiettivi comuni e della grid parity. A livello nazionale, ci si potrebbe poi spostare da un sistema incentrato sulla tassazione del lavoro a una fiscalità orientata sul consumo di risorse, un'idea introdotta anche nel disegno di legge presentato, pochi giorni fa, con la delega fiscale.
Infine un accenno agli obiettivi delle energie rinnovabili: oggi siamo infatti al 26% di energia elettrica prodotta da fonte rinnovabile e arriveremo, quasi sicuramente, al 30% entro il 2014. Ma per ridurre le emissioni di CO2 questo non basta e l'Italia intende puntare, parallelamente, sul miglioramento dell'efficienza nella distribuzione dell'energia e sull'applicazione di tecnologie di cogenerazione e rigenerazione.