Silvia Ragusa Monsoriu

Aitor, camicia a quadri e barba incolta, parla al microfono. I temi sono sempre gli stessi: la crisi economica, le manifestazioni di Madrid, il movimento degli indignati. Funziona? Sicuro. Dalla loro hanno il consenso, le tende pronte a ospitare le famiglie sfrattate, i centri sociali che sfamano chi ha bisogno.

Poi ci sono le assemblee giornaliere, quelle che si occupano di diritti, debito, democrazia, lavoro.

Basterà?

Aitor ride. Fa lo spelling del nome che non ho afferrato: «Sai, è che sono mezzo catalano e mezzo basco», dice mentre dall'altra parte dell'altoparlante gracchia una voce sorda in collegamento da Zuccotti Park.

Lui, del gruppo Democrácia Real ya di Barcellona, è appena arrivato a Milano.
E i suoi occhi sono ancora pieni dei colori delle marcie, quella bianca, verde, arancione, viola, nera che sabato 15 settembre hanno invaso Puerta del Sol per gridare ancora una volta No ai tagli draconiani del governo Rajoy.

C'erano dottori, infermieri, impiegati statali, pompieri, professori e studenti, tutti preoccupati per il proprio futuro e per una Paese in caduta libera.

Tra slogan e dichiarazioni il grande dibattito nazionale non si è placato: Dove ci porteranno questi tagli? Sono davvero necessari per uscire dalla crisi, come sostiene il Governo, o non faranno altro che affondare la Spagna sempre più nel gorgo del default?

Aitor ha lo sguardo di chi alla rivoluzione ci crede. Racconta speranze, parla di riunioni collettive sciolte all'alba, di soluzioni un po' quantistiche, di politica dal basso.

Poi invita gli italiani alla manifestazione globale del 13 ottobre. «Sarà un evento importante: coinvolgeremo tutte le piazze del mondo», dice con entusiasmo.
Piazza Colonne però e semivuota. Noi, italiani, non ci siamo.

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