Gabriela Orione

In duecentomila, giovedì, nelle piazze di Buenos Aires e di altre città argentine. In tanti, non sopportano più la restrizione alle libertà. Così la presidenta Cristina Kirchner copre il paese di propaganda, e deve fare i conti con argentini che si convocano attraverso i social network.

BUENOS AIRES ? «Se va acabar, se va acabar, la dictadura de los Ka», hanno cantato in coro giovedì sera argentini di tutte le età, tra cui tantissimi giovani, mentre, sbattendo pentole o sventolando cartelli, marciavano determinati verso le arterie che portano alla Plaza de Mayo di Buenos Aires, davanti alla casa Rosada, sede presidenziale dove oggi governa Cristina Fernandez de Kirchner. Il giorno dopo, la notizia era sulla stampa internazionale, mentre in Argentina è sta documentata solo dai giornali di opposizione, mentre il governo della Kirchner e il suo partito starebbero lavorando per una marcia pro-esecutivo, mentre sottolineano - con tanta insistenza - che a manifestare c'erano solo argentini delle classi medio-alte.

Convocati essenzialmente attraverso le reti sociali e il passaparola, migliaia di argentini si sono ritrovati nelle piazze delle principali città, uniti in una marcia nazionale contro il governo, «che non si vedeva dai tempi del cacerolazo», assicura Josefina, esile, nascosta dietro a un cartello bianco su cui si legge tre volte, in caratteri cubitali, la parola "LIBERTAD". Quella di giovedì a Buenos Aires è stata una manifestazione ordinata, spontanea, compatta, unanime e allo stesso tempo intransigente contro le misure della politica kirchnerista che lentamente ha instaurato in molti argentini un grande senso di frustrazione. Una frustrazione forse in parte dovuta a una passività che ha storicamente impedito al paese di resistere ai movimenti populisti o alla dittatura, non una volta sola (come in Italia e in Germania, che sembrerebbero aver imparato da quella volta), ma in più opportunità, sotto forme diverse e reiterate.

Così, diffidenti verso le ultime proposte di riforma della costituzione presentate dal governo (voto ai minorenni, rielezione della "presidenta" al terzo mandato, voto agli stranieri senza una precisa politica immigratoria), molti argentini, nutriti da un diffuso senso d'impotenza, hanno deciso di ritentare con il vecchio metodo del "cacerolazo", dove ormai le pentole non sono che una scusa.

Oltre all'enorme crisi delle istituzioni che sta soffrendo il paese, fondamentalmente molti argentini sembrano non sopportare la sensazione di restrizione alle libertà che riconoscono oramai in molte azioni della politica kirchnerista, cominciando, per esempio, da quella di pensiero. Nelle scuole, ultimamente, ha creato un certo sgomento l'invio di esponenti della Campora, (il partito peronista-kirchnerista nelle cui prime file si ritrova Maximo Kirchner, figlio della "presidenta") a indottrinare gli studenti. Un'azione poco democratica, che a molti argentini non appare del tutto casuale, perché iniziata proprio nel momento in cui il governo si prepara a cambiare la legge elettorale per dare il voto ai sedicenni.

La misura, che sembra essere vicina all'approvazione, implica un milione e mezzo di votanti in più, di cui però la maggioranza poco informati (o indottrinati), e spesso mantenuti dai "piani di sostegno". Questi ultimi, più che essere interpretati come una spinta al miglioramento delle condizioni delle classi povere, sono visti come una forma per mantenere sotto controllo pacchetti di voti, stimolando così lo stare fuori dal vero mondo del lavoro, anziché fomentarlo. Tutto ciò si somma all'ignavia di una classe lavoratrice che gode del numero più alto di festività nazionali al mondo (pochi giorni fa nel calendario argentino è stato approvato il diciannovesimo), un salario più alto di quello brasiliano e messicano e molto vicino a quello nord americano, ma che ogni giorno deve fare i conti con un'inflazione inarrestabile.

La disoccupazione di più di un milione di persone, un 7,2% secondo i dati sempre poco attendibili forniti dall'Indec (Istituto nazionale di statistica e censo), sta diventando un problema serio, e anche psicologico. A parte la disponibilità di sussidi che spesso non spinge a cercar lavoro, tra le cause di disoccupazione si ritrovano essenzialmente la sensazione di sfiducia, impotenza e frustrazione, derivate da un'educazione e preparazione professionale percepita come inadeguata, altro tema scottante e preoccupante del paese.

Lo stesso senso di frustrazione e affronto alla libertà molti argentini lo percepiscono nella libertà d'espressione. La "presidenta" non concede conferenze stampa, ma comunica solo servendosi esageratamente della "cadena nacional", (che secondo la costituzione argentina dovrebbe essere usata solo per comunicazioni gravi e in situazioni di emergenza), con un fanatismo che sconfina in toni che a molti argentini ricordano quelli di temuti dittatori. In questo stato di cose, sono in molti a credere che chi pensa in modo diverso viene considerato un nemico, non solo del governo, ma del paese. Nelle ultime settimane, davanti a casi di opposizione al governo da parte di dirigenti e imprenditori, si sono manifestate esplicite intimidazioni pubbliche da parte del governo, dai toni decisamente poco concilianti.

Mentre la povertà continua ad essere un tasto dolente, il governo afferma, a sproposito, che in Argentina è possibile alimentarsi spendendo 6 Pesos (meno di un Euro) al giorno, quando oggi i prezzi in un supermercato argentino hanno ormai superato quelli di Italia o Spagna, aggravati oltretutto da una disponibilità ridotta di prodotti, a causa delle severe misure protezionistiche. Sono affermazioni infelici come questa che screditano la fiducia, già di per sé precaria, nella politica del governo. Gli scandali con ricorrenti episodi di corruzione, di clientelismo, di cui sono protagonisti i suoi funzionari, non fanno che aumentare la diffidenza e la sensazione d'insicurezza a tutti i livelli. Cristina Kirchner, di fronte a questi fatti, scherza (o forse no), e afferma pubblicamente che «bisogna temere Dio, ma anche un poco la sottoscritta», il che fa supporre a molti che forse le cose non vengano fatte come si deve.

Allora, quando davanti alla crescita delle villas, all'aumento degli indigenti e degli incidenti dovuti alla mancanza d'investimenti nelle infrastrutture (strade, edifici, trasporti), vengono spese cifre esorbitanti per le campagne politiche e per altre iniziative assolutamente non prioritarie, gli argentini decidono di unirsi in protesta, come giovedì sera. Il sistema ferroviario, già in crisi, è ora arrivato al collasso: deragliamenti, incidenti, rotture, sono fatti di cronaca quotidiana. Le strade rimangono un'alternativa insicura, mentre la metropolitana di Buenos Aires si ritrova nel bel mezzo di una battaglia tra governo e città per mancanza di fondi destinati invece a progetti minoritari. Infatti, la politica economica del governo nazionale, spesso definita improvvisata, sembra quella di favorire le regioni allineate alla sua politica, penalizzando le altre con una distribuzione delle risorse nazionali, che appare sproporzionata o addirittura ingiusta.

La libertà degli argentini (quelli che possono permettersi di viaggiare) è messa in discussione quando si vedono costretti a chiedere il permesso per ritirare dollari per uscire dal paese o quando all'estero si ritrovano limitati nell'uso delle loro carte di credito. Ma certo in patria le cose non vanno meglio: l'inflazione incontrollabile non fa che penalizzarli e va ad aggiungersi all'imposizione governativa di gestire i propri risparmi utilizzando solo moneta locale, proprio mentre la svalutazione rende quest'ultima sempre più instabile.

Ma il vero nerbo che spinge con fermezza gli argentini a protestare, rimane l'insicurezza, il più grande fantasma per un popolo pacifico, storicamente non abituato alla violenza sociale. Oggi la gente è spaventata da questa nuova realtà del paese, ed esce terrorizzata per le strade, (sempre più popolate dalla criminalità), per manifestare la propria inquietudine. Già la settimana scorsa più di quattro mila persone si erano riunite a Buenos Aires, nel quartiere di Lanus, protestando contro l'insicurezza, contro i continui furti e violenze che pregiudicano la zona, certamente non la sola a subire questa spiacevole realtà. La libertà condizionata concessa dal governo ad assassini e criminali, perché assistano ai propri atti politici, e la mancanza di polizia, dovuta al fatto che il governo preferisce non usare la forza per paura di tentazioni militaristiche, fa nutrire i sospetti di coloro che pensano che il governo abbia smantellato le forze militari e le forze di polizia per paura che possano minacciare il suo potere.

La "presidenta", votata con il 54% dei voti, perde, seppur di poco e molto lentamente, consensi. Ma gli argentini sanno che non basta. Così, senza farsi sopraffare dalla frustrazione, ma tirando fuori il loro caratteristico orgoglioso spirito nazionalistico hanno fatto capolino dopo tanto tempo. Per le strade della capitale si vedevano camminare famiglie intere, persone comuni, cittadini semplici impegnati a mostrare a se stessi e ai propri figli che ci potrebbe essere una strada per un'Argentina migliore, più sicura, più democratica. La manifestazione potrebbe essere stato un primo passo per uscire dalla frustrazione e dalla paura.

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