Di Edoardo Narduzzi *twitter@EdoNarduzzi
Non sono più le tasse e le possibili riforme fiscali, come negli anni Ottanta e Novanta, il cuore della politica delle presidenziali Usa. Il centro di gravità dei programmi e delle proposte di governo si è spostato nel campo della spesa pubblica, del ruolo dello Stato come produttore di servizi, più o meno in monopolio, in questo ventunesimo secolo ridisegnato dalla globalizzazione. È il compito del cosiddetto welfare state, in particolare dell'enorme intermediazione di risorse generata dalla spesa sanitaria, ormai stabilmente intorno al 10% del pil nelle economie avanzate, lo snodo del confronto.
Da un lato ci sono le proposte, come quella di Barack Obama, di ampliare la presenza pubblica nella produzione ed erogazione del servizio sanitario, dall'altro il guanto dello sfidante Paul Ryan, vicepresidente designato dai Repubblicani, favorevole al modello di uno Stato, se non proprio minimo, sicuramente molto molto ristretto. Sullo sfondo i sistemi di riferimento, non completamente alternativi, dei due maggiori filosofi politico-economici del secondo Novecento Usa, entrambi di Harvard come i due candidati alla Casa Bianca: Robert Nozick e John Rawls.
Si tratta di una evoluzione importante per la qualità del dibattito politico e per le modalità di governo della società. Il confronto sul fisco era indiretto, nel senso che puntava alla quantificazione delle risorse da mettere a disposizione della macchina pubblica per definirne così il ruolo, e in qualche modo anche la proiezione nella modernità delle sensibilità del mercantilismo e della prima rivoluzione industriale, quando la separazione tra patrimonio privato e beni pubblici era netta.
Quello sul welfare è diretto, perché vuole definire cosa debba o non debba fare in prima persona lo Stato, per poi definire il livello della tassazione. Si dice ai cittadini, senza scorciatoie, come vengono spese le loro tasse e perché debbono essere aumentate o possono essere diminuite. È un confronto calato in società opulente, istruite, consapevoli dell'importanza della conoscenza e di taluni beni pubblici, non soltanto per la competitività individuale. Quindi in società recettive e capaci di valutare proposte alternative in materia.
Soprattutto si tratta di collettività consapevoli del ruolo dell'innovazione e delle nuove tecnologie nell'organizzare qualsiasi produzione, anche quella di servizi come la sanità, e in grado di ben discriminare tra i pochi casi di cosiddetto fallimento del mercato, quando solo lo Stato può farsi carico di un'attività, e i molti casi di nuove modalità produttive possibili senza lo Stato. Così, stavolta non saranno le tasse, ma la dimensione e le modalità di funzionamento della macchina federale a scegliere il nuovo Presidente.