Molti figli non seguono la strada dei genitori. La mancata staffetta frena il rinnovamento della cultura di vendita.
Al rientro dalle ferie diverse segnalazioni che arrivano dalle città parlano di negozi che non riapriranno a causa della crisi e sottolineano come una buona parte di essi sia ubicata nei centri storici. Dove del resto i cartelli «vendesi» o «affittasi» si sprecano.
Le segnalazioni da parte dei lettori dimostrano come le serrande chiuse si prestino più di altri simboli a incarnare il racconto della recessione, a rappresentare la prova provata della riduzione delle attività economiche. I dati riferiti al 2011 parlano di 105 mila negozi chiusi in Italia ma segnalano anche come l'anno scorso il commercio sia rimasto ancora un settore attrattivo agli occhi di chi cercava disperatamente un lavoro. Nello stesso periodo di tempo sono state infatti oltre 70 mila le nuove iscrizioni. Nel 2012 il trend delle chiusure è stimato in accelerazione. La Cgia di Mestre fa una previsione di 150 mila negozi chiusi a fine anno per l'effetto combinato di recessione e tassazione Imu. Le associazioni di categoria del commercio, oltre a lanciare periodici allarmi sullo stato del settore, hanno messo in guardia il governo Monti dal procedere sulla strada di un nuovo aumento dell'Iva, peraltro già deciso ma giudicato mortale per la tenuta dei consumi e più in generale del mercato interno. Sembra che a palazzo Chigi abbiano capito e stiano lavorando proprio per tentare di scongiurarlo.
Per evitare che un nuovo e più pesante «anno nero del commercio» sono sicuramente necessarie delle misure di carattere macro-economico, c'è bisogno però anche di nuovi comportamenti da parte degli operatori, di una forte discontinuità culturale. Non esistono dati precisi, sono numerosi comunque i negozi che chiudono non per mancanza di clientela ma perché i figli non vogliono fare il mestiere del padre e rilevare la bottega. Non è facile che un ragazzo di oggi accetti di fare per una lunga tranche della sua vita il macellaio, il fruttivendolo o il panettiere e ciò avviene anche in quei casi - e ce ne sono fortunatamente ancora molti - in cui l'attività di famiglia prospera e potrebbe tranquillamente andare avanti per anni ed anni. La mancata staffetta generazionale è un tema che angustia le associazioni come Confcommercio e Confesercenti perché impedisce un rinnovamento della cultura della vendita retail in termini di uso del marketing e delle tecnologie digitali.
Una discontinuità che il mondo del commercio deve cominciare a praticare, con maggiore efficacia di quanto sia avvenuto in passato, riguarda le reti di impresa. In fondo nel commercio potrebbero essere ancor più facili da far partire che nella piccola industria, una complementarietà tra attività di vendita al pubblico affini ma non uguali potrebbe contribuire al rafforzamento di tutti. Come potrebbe dare alle iniziative del kilometro zero canali più robusti per accedere al consumatore finale. Qua è là sul territorio cominciano ad affermarsi esperienze di rete, in particolare in Lombardia. Dovrebbero diventare quasi prassi comune e potrebbero in qualche caso ovviare anche al mancato ricambio generazionale di cui abbiamo appena parlato.
Il commercio dovrebbe cominciare a maneggiare con maggiore dimestichezza anche il concetto di distretto. Concentrare l'offerta omogenea in alcune strade o quartieri può rappresentare una novità apprezzata dai consumatori perché in grado di presentare una proposta più appetibile. Si può dar vita a «vie degli specialisti» - prassi diffusissima all'estero - in cui si trova tutto-proprio-tutto ciò che riporta a una particolare merceologia. Si crea anche in questo caso una complementarietà d'offerta che dovrebbe servire a dare una maggiore identità collettiva ai commercianti di quel segmento e a rintuzzare la concorrenza dei centri commerciali, degli ipermercati o delle multinazionali come Ikea e Decathlon (che oltre alla dimensione possono giovarsi della massa critica necessaria per accedere al mercato pubblicitario). Va da sé che una concentrazione territoriale dovrebbe comportare una comunicazione al cliente più aggressiva, la possibilità di far nascere isole pedonali ad hoc e altre iniziative che possono rientrare nel novero del marketing territoriale.
A Milano, ad esempio, sono stati individuati sulla carta 8 distretti commerciali e si è pensato anche di creare una nuova manifestazione come «i giovedì dello shopping». Successivamente sono sorti dei conflitti tra l'amministrazione di Giuliano Pisapia e la Confcommercio e l'esperimento è destinato a ritardare. Ma al di là della querelle, tutto sommato di carattere locale, la strada tracciata sembra quella giusta e riprende l'esperienza delle «notti bianche», ampiamente diffusa sul territorio nazionale.
Tra le discontinuità necessarie va inclusa anche quella di una maggiore attenzione al mutamento degli stili di vita dei consumatori. Il retail ha il vantaggio rispetto all'industria di essere direttamente a contatto del pubblico ma spesso non ne trae tutte le conseguenze. È chiaro che per seguire i trend c'è bisogno di flessibilità operativa e mentale, il caso dei parrucchieri cinesi a sei euro - molto presenti a Milano - però deve far riflettere se nel campo dei servizi estetici alla persona non si sia accumulato un certo ritardo nel rimodulare l'offerta da parte dei commercianti italiani e anche una sottovalutazione della trasparenza dei prezzi. Insomma se ci si vuole mettere sulla lunghezza d'onda del cambiamento le riflessioni sono tantissime e investono, altro esempio, il tema degli orari.
Le liberalizzazioni non devono essere intese come un obbligo ad aumentare le ore di aperture (e quindi aumentare i costi fissi) bensì una possibilità per calibrarle, per farle calzare meglio con le esigenze e il tempo libero dei clienti. Magari si può star chiusi al mattino e aperti dalle 19 alle 24. Un'offerta che rimanga rigida dal punto di vista organizzativo e culturale sarà sicuramente spazzata via più rapidamente. Un'ultima riflessione, appena abbozzata, merita poi il tema dell'e-commerce. C'è almeno un caso nel Milanese di staffetta virtuosa. A fronte della difficoltà a reggere l'urto della crisi di quello che era stato il negozio storico della coltelleria meneghina (Lorenzi) gli addetti ai lavori segnalano il caso di successo di un'azienda di Busto Arsizio (Collini), che ha fatto invece della vendita on line il suo punto di forza per sfondare sul mercato. Di storie così sarebbe auspicabile poterne registrare di più.
Dario Di Vico