La cosiddetta emergenza immigrazione è finita, ma è bastato un lieve aumento degli sbarchi per riportare in auge la detenzione amministrativa temporanea e il suo corollario di abusi.
Sebbene il governo Monti abbia fatto approvare dal parlamento un articolo di legge che, nell'ambito dei provvedimenti di riduzione della spesa pubblica ( spending rewiev), dichiara la cessazione della cosiddetta emergenza immigrazione, continuano gli allarmi indiscriminati su nuove, improbabili ondate migratorie che starebbero per abbattersi sull'Italia dalla Siria. Mentre la Turchia, la Giordania ed il Libano hanno accolto decine di migliaia di profughi siriani, è bastato l'arrivo in Italia di qualche decina di migranti in fuga dalla Siria per ridare fiato ai professionisti degli allarmi invasione. La dura realtà dei fatti conferma invece un andamento costante degli sbarchi ( modesti) dalla Tunisia, un incremento delle violenze subite dai migranti in transito in Libia, e dunque fasi di maggiore afflusso da quel paese, anche per la negazione sostanziale del diritto di asilo a coloro che si trovano ancora confinati nel campo di Sousha, al confine tra Libia e Tunisia. Sullo sfondo rimane la negazione sostanziale del diritto di asilo nei paesi di transito, come la Tunisia, l'Algeria ed il Marocco, ed il tradimento delle speranze accese dalle primavere arabe, con la ripresa delle partenze dei giovani tunisini ed egiziani, delusi dalle prospettive cupe che si intravedono nei loro paesi.
Non appena il ritmo degli sbarchi, o più spesso dei salvataggi in mare, è aumentato, il ministero dell'Interno ha prontamente riattivato il centro di prima accoglienza e soccorso di Pozzallo, in provincia di Ragusa, e la tensostruttura di Porto Empedocle. Il primo funziona, di fatto, come un centro di detenzione fuori legge, destinato ai migranti tunisini che si pensa di potere espellere con procedure sommarie e collettive. Il secondo è un capannone posto in un'area portuale recintata ed inaccessibile, utilizzato già lo scorso anno come centro di transito informale, cioè un centro di trattenimento temporaneo, usato per selezionare i potenziali richiedenti asilo da smistare poi nei cosiddetti centri di accoglienza per richiedenti asilo, o, a seconda della discrezionalità delle forze di polizia, da internare nei centri di detenzione amministrativa. Mentre il centro di prima accoglienza e soccorso di Lampedusa, dopo gli scandali dello scorso anno, è utilizzato (per ora) come struttura di transito, al massimo per qualche ora, le altre strutture che sono definite di accoglienza sono gestite come centri chiusi.
Di fatto, dopo gli sbarchi o le azioni di salvataggio in mare, i migranti spariscono in una sorta di buco nero nel quale non hanno riconosciuto alcun diritto. Questa mancanza di trasparenza, giustificata solitamente con esigenze di identificazione o per ragione di indagini, può essere usata per celare arbitri e violazioni dei diritti umani. Di fronte a forme di trattenimento amministrativo che sono ormai avvertite come contrarie alla dignità della persone ed alle normative che garantiscono una base di diritti fondamentali anche ai migranti irregolari, si sono moltiplicate le ribellioni ed i tentativi di fuga. L'ultimo, proprio a Pozzallo e a Porto Empedocle, sedati come al solito da interventi di polizia in assetto antisommossa e seguiti dalla consueta coda di notizie giornalistiche che hanno rappresentato gli immigrati come pericolosi delinquenti.
Nei confronti dei migranti irregolari, soprattutto tunisini o egiziani, continuano ad applicarsi forme di respingimento immediato e di trattenimento sottratti a qualsiasi controllo giurisdizionale, come se per loro non valesse l'art. 2 del T.U. sull'immigrazione che riconosce a tutti gli immigrati "comunque presenti nel territorio dello stato" i diritti fondamentali della persona umana, a partire dai diritti di difesa e dal diritto di chiedere asilo. Una prassi amministrativa che trova puntuale conferma nel Rapporto di ferragosto del ministero dell'Interno. Coloro che vengono definiti come migranti sono considerati diversi da chi chiede "protezione internazionale". Ma questa distinzione è spesso rimessa alla discrezionalità delle autorità di polizia. I migranti rientrano nell'ambito:"Lotta alla criminalità organizzata, Legalità e trasparenza negli appalti pubblici, Sicurezza integrate, Ordine pubblico and Sicurezza stradale" mentre coloro che riescono ad avere riconosciuta almeno la qualifica di richiedenti asilo, a seguito della ricezione della loro istanza da parte delle autorità di polizia, sono considerati nell'ambito della materia "Diritti umani ed immigrazione".
Dal rapporto del ministero e dai comunicati stampa delle questure si rileva una attenzione spasmodica alla diffusione dei dati riguardanti la persecuzione dei reati legati alla cosiddetta immigrazione clandestina ed una generale sottovalutazione delle ragioni dei potenziali richiedenti asilo. E rimane a rischio il rispetto del principio di legalità e delle stesse normative comunitarie quando si adottano misure di contrasto dell'ingresso irregolare e del successivo allontanamento forzato di coloro che ci si ostina a definire come "migranti economici" ai quali evidentemente non andrebbero riconosciuti neppure i diritti umani. E gli esempi nella prassi non mancano, come le detenzioni arbitrarie nelle camere di sicurezza delle questure o nei centri di accoglienza, magari CPSA, centri di prima accoglienza e soccorso, come quello di Pozzallo, trasformati di fatto in centri di detenzione.
Eppure una svolta in questa materia è ineludibile, per non restare perennemente impreparati di fronte al succedersi delle diverse fasi dei movimenti migratori diretti verso il nostro paese e per ricondurre entro gli argini dettati dalla carta costituzionale e dalle normative comunitarie le procedure di respingimento, di detenzione amministrativa e di allontanamento forzato, ancora affidati alla discrezionalità amministrativa, al punto da trasformare il diritto delle migrazioni ad un vero e proprio diritto di polizia.
Occorre garantire il rispetto assoluto del principio di legalità, dell'art. 13 della Costituzione Italiana che vieta la detenzione amministrativa (in incommunicado) senza alcun contatto esterno, ad esempio con gli avvocati, e senza la tempestiva convalida dell'autorità giudiziaria. Occorre garantire anche il rispetto del regolamento sulle frontiere Schengen n.562 del 2006 che vieta i respingimenti "senza formalità" e senza garanzia di difesa. Va sottratta alla discrezionalità delle forze di polizia la formalizzazione delle istanze di asilo, che deve essere immediata e non procrastinata di giorni, se non di settimane, al solo scopo di adottare precedentemente un provvedimento di respingimento o di espulsione.
Bisogna dare ancora attuazione vera alla direttiva sui rimpatri 2008/115/CE che stabilisce la priorità dei rimpatri volontari rispetto ai rimpatri con accompagnamento forzato, e fissa regole assai rigide per la proroga del trattenimento nei CIE, regole che nel nostro paese vengono costantemente eluse, con proroghe fittizie che non rispettano neppure i diritti di difesa delle persone trattenute in vista dell'espulsione. Occorre garantire l'effetto sospensivo automatico (delle espulsioni) a tutti i ricorsi contro i dinieghi sempre più frequenti che le commissioni territoriali stanno distribuendo a coloro che sono giunti in passato dalla Libia perché costretti alla fuga e non certo per libera scelta. Si tratta di interventi che sono praticabili anche in via amministrativa, con provvedimenti del ministro dell'Interno, a fronte della conclamata incapacità di questo parlamento ad occuparsi della materia immigrazione ed asilo senza farsi condizionare dalle componenti più xenofobe, se non apertamente razziste.
Fulvio Vassallo Paleologo