di Redazione
Presentata come la riforma che avrebbe salvato la generazione perduta, a distanza di un mese non ha visto neanche un decreto attuativo approvato. E alcuni di questi, molto importanti, sono ormai scaduti.
Fu già ampiamente criticata all'indomani della sua approvazione al Senato e pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, il 18 luglio scorso. A fare le prime osservazioni sulla Riforma del Lavoro realizzata dall'attuale ministro tecnico Elsa Fornero fu l'insigne "Financial Times", che non esitò a bollare la norma insufficiente e incompleta per tutelare quel 36% di giovani disoccupati italiani, definiti dal quotidiano economico come la generazione perduta di un paese che non è in grado di investire nelle nuove leve e che rischia così di bruciare il suo futuro economico oltre che le speranze di milioni di ragazzi: in sostanza, una riforma troppo sbilanciata a sfavore dei padri e dei nonni e poco incisiva per gli under 50.
Per evitare fuga di cervelli o ingrossamento dell'esercito dei cosiddetti Neet (not in Education, Employment or Training) uno degli articoli del testo normativo puntava, ad esempio, a smascherare tutti quei contratti a progetto solo a parole, che poi nei fatti costituivano un escamotage nemmeno troppo nascosto per assumere giovani sottoposti ad orari lavorativi uguali a quelli dei dipendenti, ma con retribuzione e contributi pensionistici nettamente inferiori.
Le buone intenzioni c'erano tutte, tuttavia economisti del calibro di Tito Boeri e Gustavo Piga fecero prontamente notare che, a parità di costi, probabilmente sarebbero state rare le aziende che avrebbero scelto il giovane al posto del lavoratore più anziano, il quale sarebbe altresì dovuto andare in pensione. Al fine di evitare l'abuso della contrattazione co.co.pro., diffusa ampiamente tra le fasce di lavoratori under 40, è stato così approvato l'innalzamento del costo del lavoro dal 28 al 33% proprio sui temuti contratti a progetto con lo scopo propriamente di disincentivarne l'utilizzo. Peccato che molti sindacalisti palesarono il timore che questi costi aggiuntivi potessero essere scaricati da parte del datore di lavoro, senza troppi rimorsi, direttamente sul lavoratore.
La via d'uscita l'aveva delineata lo stesso ministro Elsa Fornero, che aveva auspicato una detassazione sul costo del lavoro al fine di incentivare l'occupazione. Proposta bocciata nell'arco di 24 ore dal ministro dell'Economia e delle Finanza Vittorio Grilli, che ha chiaramente fatto sapere che i finanziamenti al momento non sono reperibili.
Certo, al di là delle polemiche, sicuramente le buone intenzioni da parte dei tecnici per cercare di far integrare i giovani italiani con quel mondo del lavoro a loro non troppo favorevole alla base c'erano. Fatto sta che, a distanza di più di un mese, tutti e 37 decreti attuativi per l'applicazione della legge Fornero sono mancanti. Tra questi:
-articolo 3, commi 4-6 per l'istituzione presso l'Inps dei fondi di solidarietà bilaterali per l'integrazione salariale
-la definizione delle linee guida per i tirocini formativi
-favorire il coinvolgimento dei lavoratori alle scelte imprenditoriale e partecipazione agli utili e al capitale
-commi 48-50 dell'articolo4 sui servizi all'impiego, gli incentivi all'occupazione , la riqualificazione professionale e il reinserimento dei soggetti svantaggiati
Per questi decreti c'è ancor un margine di tempo di realizzazione. Scaduti e non più attuabili sono i commi 24, 25 e 27 dell'articolo 4 della legge 92/12 in favore della maternità e paternità: questi prevedevano la possibilità per il padre lavoratore dipendente di astenersi un giorno dal lavoro sino a cinque mesi dalla nascita del figlio o due giorni ( da concordarsi con la madre) indennizzati al 100%; inoltre l'acquisizione da parte della madre lavoratrice di un voucher per servizi di baby sitting o spese di asili nido. Una mancata realizzazione di un decreto chiave per sottrarre dalla disoccupazione le giovani donne italiane, le più penalizzate a livello europeo perché costrette a dover decidere se dedicarsi alla famiglia oppure proseguire nella carriera lavorativa. Eppure nel primo articolo la legge 92/12 recita esattamente queste parole:
La presente legge dispone misure e interventi intesi a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione, in particolare, (al punto f) promuovendo una maggiore inclusione delle donne nella vita economica.
Speriamo che tutti gli altri buoni propostiti non finiscano allo stesso modo.