Federico Fratta

a qualche anno a questa parte le startup sembrano essere diventate la soluzione ai problemi dell'ecosistema imprenditoriale. In una situazione palesemente recessiva, non si possono ignorare le performance del fenomeno, tanto da ritenere che anche in Italia queste tipologie di aziende potrebbero bissare il medesimo successo aiutando a risollevare le sorti della nostra economia.

Probabilmente anche per questo motivo si susseguono interventi permeati di un grandissimo e in parte giustificato entusiasmo fra cui il recente articolo dal titolo: Cosa ci manca per diventare una Startup Nation. Ho trovato il contenuto ben scritto e documentato e sono peraltro concorde nel ritenere che gli spunti riportati siano estremamente interessanti. Tuttavia non credo che rappresentino una soluzione praticabile per farci diventare, in tempi ragionevoli, una Startup Nation.

Mutazioni profonde come quelle di Israele (un popolo abituato a combattere e difendere il proprio futuro in ogni campo, compreso quello economico e industriale) richiedono carattere e fino ad ora noi non abbiamo dimostrato di averlo. È inutile farsi spingere da un orgoglio tipicamente revanscista, è sufficiente analizzare i fatti, fra cui alcune criticità macroscopiche:
   
non abbiamo una politica economica e monetaria autonoma (anzi siamo costretti ad osservare determinati parametri che hanno imposto la famosa austerity);
   
abbiamo svenduto le poche industrie del nostro Paese;
   
abbiamo sprecato almeno un ventennio di tempo (risorsa fondamentale) con politiche interne aberranti figlie di un malcostume tipicamente italiano;
   
la pressione fiscale è la più alta del mondo (55% reale) con un carico fiscale apprezzabile prossimo al 70% e in alcuni casi è anche peggio.

Va considerato poi che non abbiamo a disposizione il tempo necessario per raccogliere i frutti di riforme strutturali così radicali, ammesso e non concesso di riuscire a farle partire immediatamente. Del resto, anche laddove si sarebbe potuto intervenire in modo deciso e per provvedimenti semplici si è riusciti sino ad ora a commettere clamorosi errori di execution. Mi riferisco, ad esempio, alla pessima figura inerente alle SRLS (o SSRL) ancora oggi non costituibili perché mancante il decreto interministeriale contenente lo statuto pro forma che doveva essere emanato - secondo termini di legge - più di due mesi fa (ovvero 60 giorni dopo la conversione in legge, avvenuta il 24 marzo 2012).

Certo non sarebbero state la risposta ai problemi degli startupper in quanto la tipologia è del tutto inadeguata ai fini specifici, ma è stata l'ennesima riprova di un sistema decisamente poco in linea con la reattività e la brillantezza richiesta dal periodo. Per un imprenditore (o aspirante tale), lo Stato è un fornitore che viene pagato in funzione dei servizi che è in grado di garantire: e ovunque se un fornitore non è soddisfacente lo si cambia.

Non deve quindi stupirci il fatto che molti stiano pensando di emigrare (esattamente come i nostri ricercatori più brillanti) incentivati dai talent scout di altri paesi - ad esempio i Cantoni e la Carinzia giusto per fare due nomi - che visitano le imprese per importarle Oltralpe oppure da programmi specifici. Con queste premesse una Rise of the Startup Nation risulta, a mio avviso, un'utopia.
    
"C'è un eccessivo distacco fra l'Italia che produce (o vuole farlo) e quella che orienta e prende le decisioni che impattano sulle nostre vite personali e professionali."

Dalle mie parti se c'è crisi o necessità a luglio e agosto si lavora, non si demandano - forse - a settembre misure urgenti a sostegno delle imprese (startup like o tradizionali che siano): in estate il mondo non si ferma e va avanti. Se partiamo già in svantaggio al massimo si accelera, non si riposa. Insomma, si tratta di cultura, quella del fare contro quella del chiacchierare: perché, senza varare un piano ingessato di medio/lungo periodo, si sarebbero già potuti approvare almeno due o tre provvedimenti lean per le startup.

Sarebbe stato così improponibile clonare la forma societaria della LTD (UK) costituibile in 24/48 ore tramite un sito camerale "unificato" (vedi l'omologo inglese) con una cifra prossima ai 20 euro? Se da una parte però non sono fiducioso nell'aiuto dello Stato in quanto macchina complessa e troppo poco agile per un approccio smart, dall'altra sono convinto che forse ci sia un'altra strada percorribile semplicemente cambiando strategia.

La rivoluzione non dovrebbe essere sistemica perché il sistema attualmente non è idoneo ad essere sovvertito, al contrario dovrebbe essere locale. In Italia esistono cinque regioni a statuto speciale che, a differenza delle altre, hanno un'autonomia normativa e tributaria decisamente interessante (trattengono la maggior parte, in percentuale, dei tributi riscossi fra cui Irpef e Irap nonché Iva, Ires e accise sui carburanti): è del 2011 la scelta di Arval (nota società attiva nei servizi NLT) di traslocare la sede dalla Toscana al Trentino Alto Adige per evidenti risparmi in termini di IPT.

Allo stesso modo mi piacerebbe pensare alla possibilità che un gruppo di investitori privati si riunissero - magari facendo tesoro di alcuni modelli di incubazione di successo locali come Enlabs, H-Farm o M31 - e negoziassero con una regione autonoma (quella più virtuosa o strategicamente interessante, probabilmente Trentino Alto Adige o Friuli Venezia Giulia) per iniziare fisicamente a costruire la nostra Silicon Valley partendo dal basso, ottenendo una fiscalità straordinaria a fronte di investimenti importanti per attirare ricchezza sul territorio.

Per chi fa startup in ambito digitale il luogo non è poi così vitale ed è mediamente ben disponibile a spostarsi, a maggiore ragione qualora gli venga garantito uno spazio dove dormire e dove lavorare. Il problema vero invece è in primis il denaro a disposizione ma non perché sia necessario averne tanto per realizzare un'idea Internet oriented, bensì perchè serve a coprire la voce di spesa più incidente nel bilancio di una startup che è il costo del lavoro.

A meno di non avere risorse economiche pregresse e supponendo di dover vivere in qualche modo onorando obblighi contributivi e previdenziali, un team di almeno due persone con expertise sinergiche (diciamo un marketer ed un developer) richiede una disponibilità di circa 4000-6000 euro al mese a cui aggiungere le minime spese operative che crescono con lo scalare del business. Solitamente la monetizzazione nelle startup interviene (spesso senza determinare l'autosostenibilità) dopo i primi 12 mesi, quindi senza 50-100mila euro un'impresa non parte.

Immaginiamo per un momento se vi fosse una sorta di contributo regionale da parte delle predette regioni a statuto speciale che rimborsasse quasi integralmente il prelievo fiscale e previdenziale per i soggetti partecipanti ad una startup incubata nel loro territorio nell'arco dei primi 24 mesi. In questo modo il capitale necessario per l'avviamento dell'impresa nell'ipotesi precedente, scenderebbe drasticamente (20-25mila euro l'anno?) permettendo non solo ai BA/VC di seguire più investimenti ma anche agli startupper di "provare" vista la maggiore accessibilità. Chiaramente se nel periodo di incubazione la startup non ottiene dei risultati incoraggianti terminano le agevolazioni concesse.

Evidenti i vantaggi del territorio che investirebbe sull'appetibilità del proprio sistema (dai consumi alla formazione): se poi il tutto fosse in qualche modo agganciato ad un polo scientifico formativo ci si potrebbe avviare alla realizzazione di un serbatoio di talenti autoalimentante. Non ritengo di avere tra le mani la soluzione definitiva, ma penso che una proposta di decentralizzazione sia molto più agevole da percorrere. Come? Saltando le paludi della burocrazia centrale che non è abituata a pensare e confrontarsi con la medesima unità temporale con cui si muove il mondo della Rete.

Milano, 30 agosto 2012

FEDERICO FRATTA

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