di Hans-Werner Sinn
MONACO (Germania) - L'Europa e il mondo intero attendono con trepidazione la data del 12 settembre prossimo, giorno in cui la Corte Costituzionale tedesca si pronuncerà in merito al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), organismo preposto a sostituire l'attuale fondo di emergenza dell'Eurozona, il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (FESF). La Corte dovrà stabilire se la legislazione relativa alla creazione del MES violi di fatto la Grundgesetz, ovvero la Legge Fondamentale, come sostenuto dal querelante tedesco. Se la Corte si pronuncerà in favore della parte lesa, dovrà chiedere al Presidente della Germania di non sottoscrivere l'accordo sul MES, già ratificato dal Bundestag, il parlamento tedesco.
L'esito della decisione sta tenendo tutti con il fiato sospeso. Sul fronte degli investitori c'è il timore che, nel caso di un verdetto contrario al MES, sarebbero loro a doversi fare carico delle perdite derivanti dagli investimenti sbagliati. D'altro canto, i contribuenti e i pensionati dei Paesi ancora stabili temono che la Corte possa spianare la strada a una socializzazione del debito dell'Eurozona, che li costringerebbe ad accollarsi l'onere delle perdite provocate da quegli stessi investitori.
Il drappello dei querelanti è rappresentativo del panorama politico tedesco, e comprende il partito della sinistra, il parlamentare Peter Gauweiler dell'Unione Cristiano Sociale ed Herta Däubler-Gmelin, ministro della giustizia nel precedente governo socialdemocratico di Gerhard Schröder, che ha raccolto decine di migliaia di firme a sostegno delle sue tesi. C'è anche un gruppo di docenti di economia e giurisprudenza in pensione, e un altro di "comuni" cittadini, i cui reclami sono stati selezionati come esempio dalla Corte.
I querelanti hanno sollevato numerose obiezioni al MES, prima fra tutte la violazione della clausola "no bail-out" (Articolo 125) del Trattato di Maastricht. All'epoca del trattato, la Germania accettò di rinunciare al marco tedesco a patto di escludere il rischio che la nuova area monetaria conducesse alla socializzazione diretta o indiretta del debito degli Stati membri, escludendo così ogni forma di aiuto finanziario con fondi UE a Stati in crisi. Di fatto, la nuova moneta era stata concepita come unità di conto per scambi economici, priva di qualunque implicazione legata alla ricchezza.
Riguardo al caso Grecia, i querelanti sostengono che la violazione dell'Articolo 125 richiederebbe prove che l'insolvenza del Paese rappresenta un pericolo maggiore di quello previsto all'epoca della stesura del Trattato di Maastricht. Tali prove, però, non sono mai state fornite.
La seconda obiezione è che, per la legge tedesca, chi rappresenta la Germania al Consiglio dei Governatori del MES può esprimere il proprio voto solo dopo aver chiesto il parere del Bundestag, procedura inammissibile, a detta dei querelanti, ai sensi della normativa internazionale. Se la Germania voleva limitare l'autorità del suo governatore, avrebbero dovuto informare gli altri paesi firmatari prima di agire. D'altro canto, sempre secondo i querelanti, il fatto che ogni membro del MES sia vincolato al segreto professionale esclude qualunque responsabilità di fronte al Bundestag.
Inoltre, i querelanti affermano che, se da un lato il trattato del MES è restrittivo nella concessione di fondi ai singoli Stati, poiché richiede un voto di maggioranza qualificata, dall'altro non specifica le condizioni in base alle quali valutare il livello di accettabilità delle perdite. Tali perdite possono derivare dai salari troppo elevati dei governatori, decisi da loro stessi, da una scarsa energia nell'esigere i debiti contratti dai Paesi che hanno ricevuto un aiuto economico, o da altre forme di cattiva gestione. E poiché i membri del Consiglio dei Governatori e del Comitato Esecutivo godono dell'immunità giuridica, eventuali comportamenti illeciti non sono neppure perseguibili.
In caso di un aumento delle perdite, la copertura iniziale dovrebbe arrivare dal contributo in contanti di 80 miliardi di euro, pari a circa 100 miliardi di dollari, che poi sarebbe automaticamente incrementato da tutti gli Stati aderenti in base alle rispettive quote di capitale. Se singoli Paesi non sono più in grado di versare il loro contributo, altri devono farlo al posto loro. In linea di principio, quindi, un unico Paese potrebbe doversi fare carico dell'intero ammontare delle perdite. Tale responsabilità congiunta e rispettiva, asseriscono i querelanti, contraddice le precedenti dichiarazioni della Corte sul fatto che la Germania non dovrebbe assumersi alcun impegno finanziario derivante dal comportamento di altri Stati.
Quel che è peggio è che, sebbene la responsabilità di un Paese nei confronti di partner esterni sia limitata alla sua quota di capitale, tale limite non si applica ad altri Stati firmatari. Pertanto, in teoria esiste la possibilità che un solo Paese debba rispondere dell'intera esposizione del MES, pari a 700 miliardi di euro.
Infine, va detto che il MES non può essere considerato isolatamente, bensì nel contesto dell'esposizione totale, che comprende fondi di salvataggio già erogati, per un importo di 1,4 trilioni di euro. Nello specifico, bisognerebbe tener conto anche del credito Target2 concesso alle banche centrali dei Paesi colpiti dalla crisi, che ammonta già a quasi un trilione di euro.
Nessuno sa come si pronuncerà la Corte Costituzionale in merito a tali obiezioni. Gli osservatori sono concordi nel ritenere improbabile che la Corte si opponga al trattato del MES, anche se molti prevedono che i giudici raccomanderanno di apportarvi delle modifiche, o chiederanno al Presidente della Germania di firmare con riserva.
L'impossibilità di anticipare le decisioni della Corte è senz'altro positiva, e ancora di più lo è il fatto di non poterle influenzare né con pressioni politiche né con istanze. L'Unione Europea può e deve basarsi soltanto sul governo della legge: se chi detiene il potere può permettersi di violarne le regole a seconda dei casi, possiamo abbandonare ogni speranza che diventi una realtà stabile, presupposto di pace e prosperità.
Hans-Werner Sinn è docente di economia e finanza pubblica presso l'Università di Monaco di Baviera, e presidente dell'IFO Institut.
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