Il direttore del CISP 1 (Comitato Internazionele per lo Sviluppo dei Popoli) ha svolto una riflessione, partendo dalla drammatica esperienza di Rossella Urru, la cooperante che lavorava nei campi profughi Saharawi, tornata in libertà il 19 luglio scorso, dopo un lungo periodo di prigionia, essendo stata sequestrata nell'ottobre scorso nel deserto algerino.

di PAOLO DIECI *

ROMA - Con la liberazione della nostra rappresentante nei campi Saharawi, Rossella Urru, rapita nella notte tra il 22 e il 23 Ottobre 2011 2 e tornata in Italia il 19 luglio di quest'anno, si è finalmente concluso un periodo di sofferenza e apprensione, per Rossella, la sua famiglia, le nostre istituzioni, migliaia di cittadini che hanno manifestato per nove mesi la loro solidarietà e partecipazione e tutti noi del CISP 3.

Quelli che mancano all'appello. La gioia per la liberazione di Rossella rimarrà sempre in tutti noi e ci consente di moltiplicare energie e passioni per guardare avanti, alle sfide dei mesi e degli anni a venire. Al tempo stesso, la liberazione di Rossella e dei cooperanti spagnoli che erano stati rapiti assieme a lei, Ainhoa Fernandez de Rincon e Enric Gonyalons, ci rende idealmente ancora più vicini al collega Giovanni Lo Porto, sequestrato in Pakistan il 19 gennaio di quest'anno. A Giovanni e alla sua famiglia rinnoviamo l'augurio fraterno di una pronta liberazione.

Le questioni aperte. E' un fatto che i cooperanti e volontari, che operano per arginare gli effetti della povertà, delle crisi politiche, delle gravi diseguaglianze, si trovano sempre più di frequente ad operare in situazioni di grave difficoltà e di rischio. Non vogliamo qui esporre un aggiornato cahier de doléances sul mondo contemporaneo, ma non sfugge a nessuno che abbiamo di fronte alcune grandi - in alcuni casi drammatiche - questioni aperte. Starà a tutti noi, alla politica e alle organizzazioni della società civile fare in modo che queste questioni possano trovare risposte chiare, concrete, costruttive.

Partiamo dal "nostro mondo". La crisi economica e finanziaria che investe l'Europa può tradursi in un progressivo indebolimento del processo di integrazione (addirittura nell'abbandono della moneta unica da parte di alcuni Stati) o al contrario nel rafforzamento di tale processo e nella creazione di un'effettiva unità politica europea, con istituzioni rappresentative - in primo luogo il Parlamento Europeo - forti ed autorevoli, una politica estera unitaria e politiche sociali e del lavoro coordinate e ispirate a comuni obiettivi e criteri. Se prevarrà la prima tendenza avremo tutti fatto un gigantesco passo indietro; al contrario, se si materializzerà il secondo scenario ci troveremo a vivere in un'Europa più solida, più autorevole, meglio attrezzata per svolgere un ruolo da protagonista nella scena internazionale, più aperta ai bisogni e alle aspirazioni dei suoi cittadini.

Un'Europa più in sintonia con la gente. La società civile dovrà fare sentire la sua voce e affermare la necessità di un'Unione Europea rafforzata, più in sintonia con i propri cittadini, governata da istituzioni democraticamente elette, capace di parlare con una sola voce nell'arena internazionale e soprattutto non chiusa in se stessa. Non si esce dalle crisi con l'isolamento, ma al contrario rafforzando i legami di cooperazione con il mondo esterno. E' proprio perché viviamo anni segnati da una profonda crisi economica che non possiamo permetterci il lusso di trascurare i costi umani, sociali, politici e finanziari ai quali andremmo incontro se abbandonassimo o relegassimo ad un ruolo marginale la cooperazione internazionale e l'aiuto umanitario.

La vicenda di Rossella. Ci spinge ad esempio a riflettere su quanto sta avvenendo nella vasta regione del nord del Mali (dove Rossella, Enric ed Ainoha erano stati tenuti prigionieri) segnata da povertà, emergenze alimentari e conflitti. Non è difficile ipotizzare che in assenza di un vasto ed efficace piano di aiuti alle popolazioni locali sarà difficile prevedere la stabilizzazione della regione e la graduale ricomposizione, nel rispetto delle autonomie locali, dello stato maliano. E' giusto porsi la domanda sull'efficacia dell'aiuto e il CISP da molti anni insiste, con rigorose procedure interne, sulla centralità della valutazione, da assumere come vero e proprio impegno deontologico nei confronti dell'opinione pubblica, delle istituzioni, dei beneficiari.

Lo studio dell'impatto dello nostre azioni. Le Organizzazioni non Governative - o almeno alcune di loro - hanno da anni adottato criteri rigorosi per valutare l'impatto delle loro azioni, rendendo al contempo pubblici i risultati delle valutazioni e quindi dei progetti. E' giusto che le Organizzazioni non Governative e gli altri soggetti della cooperazione internazionale certifichino e pubblichino i bilanci, accostando ai numeri la spiegazione di ciò che si è realizzato, dove, con chi e perché. Tutto ciò il CISP lo sta facendo e continuerà a farlo con rigore.

Il dibattito non deve paralizzare l'aiuto. Tuttavia il dibattito sull'efficacia dell'aiuto - mai tanto sviluppato come negli ultimi anni - non può tradursi in una sua paralisi e nella messa in discussione dei risultati concreti ai quali l'aiuto allo sviluppo e umanitario - in molti e documentati casi - è giunto. Facciamo un esempio concreto: pur non nascondendosi le gravi incognite sul futuro della Somalia, dal 1991 priva di un effettivo tessuto statuale e segnata da ripetute instabilità e violenze, cosa sarebbe accaduto di questo paese - e soprattutto della sua popolazione - se dal 1991 ad oggi le Organizzazioni non Governative non avessero tenuto in piedi scuole, ospedali, cooperative, luoghi di socializzazione antitetici rispetto alla logica dei conflitti armati?

Tutto il lavoro fatto. Quante centinaia di migliaia di persone, dalle aree depresse dell'America Latina, all'Africa, al Medio Oriente, hanno avuto la possibilità di curarsi, di istruirsi, di avviare attività economiche anche grazie alla cooperazione internazionale? E tutto ciò non ha contribuito a rendere il mondo un po' migliore, se anche  -  come ben sappiamo  -  non certo privo di drammatiche lacerazioni? C'è un impatto documentabile e documentato sull'efficacia della cooperazione internazionale e c'è un impatto di natura culturale e politica, in apparenza meno "misurabile" ma non per questo meno concreto e significativo. Ci riferiamo al fatto che in decenni la cooperazione internazionale ha senz'altro contribuito ad affermare e diffondere valori "forti", che hanno contribuito a rafforzare in molti casi i tessuti socio politici locali: la democrazia, il rispetto dei diritti umani, il diritto di accesso a servizi e beni essenziali.

L'ostilità c'è quando facciamo cambiare le cose. E ancora: se l'aiuto non avesse alcuna utilità - come alcuni analisti pretendono di asserire  -  perché quasi sempre, in alcune aree di crisi, i gruppi più ostili alla stabilità e alla pace, compresi i gruppi terroristi, tentano in tutti i modi di impedire che l'attività di cooperazione internazionale si realizzi? Come mai assistiamo sempre più spesso al tentativo, da parte di questi stessi gruppi, di sostituire proprie iniziative di assistenza alla popolazione a quelle dell'aiuto internazionale? Da dove nascerebbero tanta ostilità e tanto "protagonismo umanitario" da parte di gruppi con agende antitetiche rispetto agli obiettivi della pacificazione e della distensione, se la cooperazione fosse sostanzialmente inutile e ininfluente?

Quanto costa la non soluzione dei conflitti? Un'altra domanda: quanto costa - anche finanziariamente - al mondo la non soluzione dei conflitti? Non siamo così naïve da ritenere che basti un piano di aiuti umanitari per risolvere la gravissima crisi siriana, né tanto meno per spegnere la tensione tra Israele e Iran. E' per questo che cooperazione internazionale, pressione diplomatica, politica estera - nel sacrosanto riconoscimento delle rispettive peculiarità ed autonomie - devono sapersi incontrare, assumendo alcuni obiettivi comuni. E' per questo, per riprendere un tema al quale abbiamo già accennato, che la società civile deve chiedere all'Europa di rafforzarsi e di accrescere la sua coesione politica ed istituzionale.

Gli esempi positivi ai quali rifarsi. Pensiamo ad esempio alla gravissima crisi della ex Iugoslavia della prima metà degli anni novanta. Non vogliamo certo affermare che oggi quella regione, ormai divisa in vari Stati indipendenti, sia immune da problemi irrisolti e tensioni interne. Però è un fatto che alcuni passi avanti, tramite la concertazione tra istituzioni locali, associazioni, ONG e istituzioni europee in quegli anni furono fatti, stemperando innanzitutto gli effetti umanitari della guerra (che furono in ogni caso altissimi) e garantendo, dopo il 1995, il diritto al rientro delle minoranze da luoghi dai quali erano state espulse dalla follia della pulizia etnica, tramite vasti piani di ricostruzione e di sminamento. E, non da ultimo, va ricordata l'opera della corte internazionale contro i crimini di guerra, che ha assicurato alla giustizia alcuni dei principali responsabili della già evocata e criminale pulizia etnica.

Quei segnali da Sud America. Il Centro America contemporaneo non è certo privo di lacerazioni e gravi diseguaglianze. Tuttavia la recente commemorazione del venticinquennale degli accordi di pace siglati a Esquipulas II in Guatemala il 7 agosto del 1987 ha rappresentato l'occasione per riflettere sulle opportunità oggi offerte dall'integrazione regionale e sulla sostanziale "tenuta" di tali accordi, che difficilmente avrebbero potuto "reggere" se all'azione politica e diplomatica non si fosse accompagnato un vasto piano di aiuti umanitari, tramite il quale assicurare ai rifugiati e agli sfollati il rientro nelle proprie regioni e la ripresa delle attività economiche.

Aiuto allo sviluppo e alle imprese non sono inconciliabili. Cooperazione internazionale, aiuto allo sviluppo e impulso al nostro tessuto imprenditoriale non rappresentano oggi "agende inconciliabili" o separate. Le Ong già agiscono, in molti contesti, come "ponti" e catalizzatori di incontro, dialogo, integrazione tra territori e società. Le nostre imprese, soprattutto quelle di piccola e media dimensione, scontano spesso l'assenza di opportunità di internazionalizzazione e di integrazione con imprese di altri paesi e ambiti economici potenzialmente o di fatto in crescita, in diverse regioni del mondo. Nell'ambito di codici valoriali e deontologici chiari, al cui centro vi sono il rispetto della persona, dell'ambiente, dei diritti, vi è uno spazio assai esteso per nuove alleanze tra il mondo profit e quello non governativo, che, nel rispetto dei rispettivi mandati e delle proprie missionI, possono - e in alcuni casi già lo stanno facendo - unire gli sforzi per fare incontrare sviluppo locale, internazionalizzazione delle nostre imprese, alleanze strategiche tra società e territori.

L'appuntamento di Milano, il 1° ottobre. Per dirla in poche parole: non possiamo oggi permetterci il lusso di abbandonare la speranza in un mondo un po' più stabile e sereno, né quello di abbandonare la cooperazione internazionale. E' in gioco la stessa qualità della vita delle nostre società e il nostro futuro. Il 1° e il 2 Ottobre di quest'anno, a Milano, si terrà il forum sulla cooperazione internazionale dell'Italia, voluto dal Ministro per la Cooperazione e l'Integrazione Andrea Riccardi. Così come abbiamo preso atto molto positivamente della creazione di questo Ministero abbiamo accolto con entusiasmo la convocazione del Forum. Nutriamo la speranza che questo evento servirà a restituire alla cooperazione allo sviluppo la collocazione che gli è propria: una dimensione centrale del modo di essere e di collocarsi nel mondo contemporaneo di un paese. Non un lusso, dunque, ma al contrario una stringente necessità.

Un pensiero ai Saharawi. Abbiamo aperto questa riflessione con un pensiero rivoto a Rossella e desideriamo chiuderla con un pensiero per la popolazione Saharawi, rifugiata nel deserto algerino presso la città di Tindouf dal 1975. E' ovvio che quanto avvenuto nella notte tra il 22 e il 23 Ottobre 2011 impone di rafforzare misure di sicurezza per gli operatori umanitari, di qualsiasi nazionalità essi siano, nei campi dei rifugiati. Desideriamo però anche rendere pubblico quanto abbiamo recentemente scritto al Presidente della Mezza Luna Rossa Saharawi: siamo al fianco di questo popolo dal lontano 1984 e continueremo a fare la nostra parte per assicurare alla popolazione rifugiata l'assistenza umanitaria da cui dipende la sua stessa sopravvivenza.

* Paolo Dieci, Direttore del CISP

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