Stefano Pozzoli
Le città metropolitane rappresentano la parte più urbanizzata e quindi l'ossatura dell'intero Paese. Eppure, per una di queste, Roma, il Governo è già intervenuto, facendo una legge speciale che ne ha di fatto evitato (o dissimulato) il dissesto. In altre due, Palermo e Catania, la crisi si è palesata con tutta la sua evidenza, e anche qui Governo e Regione hanno cercato di dare un sostegno, anche se non in modo risolutivo. Napoli sta chiedendo a gran voce aiuto, Reggio Calabria ha palesato un forte disequilibrio (per rimediare al quale ha un programma di forti dismissioni, aumenti di imposte e tagli di spese).
E, per quanto riguarda il Nord, occorre ricordare che Genova ha l'azienda di trasporto pubblico locale a rischio fallimento e che Milano e Torino hanno il più alto debito pro capite tra i Comuni italiani.
In sostanza la maggioranza di queste città, il cui destino riguarda milioni di persone e che rappresentano il cuore del sistema Paese, ha qualcosa di più di semplici problemi di bilancio ma si trova in vere situazioni di crisi, che costringono le amministrazioni (responsabili) ad aumentare le imposte e a tagliare i servizi, mentre altre fanno finta di nulla e corrono verso il dissesto (che prima o poi arriverà, se le istituzioni decidono un minimo di fare il proprio dovere).
Il problema, oggi, va posto in tutta la sua gravità, e in tutta sincerità, al Governo e alle forze politiche, e questo da più punti di vista.
Il primo è sul piano della responsabilità politica: in questi ultimi anni i partiti hanno troppo spesso individuato candidati sindaci magari politicamente abili ma certo amministrativamente inadeguati, che una volta al potere hanno governato i Comuni al di fuori di ogni canone di buona amministrazione. Da questo punto di vista il tema di fondo è: come rendere consapevoli gli elettori che il sindaco è capace oppure no? La verità, su cui dobbiamo riflettere, è che quasi sempre chi spende 200 euro a fronte di entrate per 100 euro trova più consenso elettorale di chi amministra i 100 euro con oculatezza.
Il secondo è di responsabilità amministrativa: possibile che un sindaco incapace possa portare al dissesto una città senza che vi siano sufficienti anticorpi per neutralizzarlo? Il tema è delicatissimo, perché va a toccare elementi di democrazia rappresentativa, ma è chiaro che occorre intervenire in qualche modo, e senza guardare in faccia a nessuno, vista la gravità delle conseguenze per i cittadini. La proposta del presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, di trovare forme di accompagnamento al risanamento, è meritevole di attenzione ed è arrivato il momento di definire una disciplina di prevenzione al dissesto, che costringa gli amministratori ad adeguarsi o ad andare a casa. L'idea è ottima: approviamo subito una norma e verifichiamone il grado di successo (ovvero il numero dei Comuni salvati rispetto a quelli dissestati) e facciamo anche in modo che al salvataggio collaborino tutte le istituzioni: la Corte dei conti, il ministero dell'Interno, dell'Economia e anche la Regione interessata.
La terza questione è emergenziale: vogliamo continuare a nascondere la polvere degli squilibri sotto il tappeto - con il risultato che se il vaso di Pandora verrà scoperchiato, i tre miliardi di deficit occultati ora contestati alla Grecia sembreranno un giochetto da ombrellone - o è arrivato il momento che il Governo guardi in faccia la realtà e pensi a una operazione organica di salvataggio? È indispensabile un contributo finanziario straordinario, meccanismi ragionevoli di messa in mobilità dei dipendenti, e procedure semplificate per la costituzione immediata di un fondo immobiliare in cui far confluire il patrimonio disponibile degli enti in crisi (evitandone così la svendita). E forti sanzioni per chi spreca quest'ultima occasione.