Dopo aver vinto il WFP Merit Award del 2012 per il suo lavoro nel campo rifugiati di Dadaab, in Kenia, Lourdes Ibarra ha iniziato un nuovo e stimolante lavoro, alla guida dell'ufficio del WFP di Herat, in Afghanistan. In occasione della Giornata Mondiale Umanitaria, Lourdes parla delle difficoltà incontrate e delle soddisfazioni ricevute durante il suo lavoro come operatrice umanitaria.
Ad ogni nuovo incarico, quando arrivo in un ufficio in un'altra parte del mondo, mi riesce difficile dormire la notte. Sono rimasta sveglia in Iraq, mi giravo e rigiravo nel letto in Sud Sudan, ho passato notti insonni in Kenia e, recentemente, ho fissato il soffitto per ore, in Afghanistan. Quello che mi tiene sveglia non è il ronzio del generatore o lo zampettio degli insetti sul pavimento. E chiedermi se, come operatore umanitario, sarò in grado di affrontare le sfide che un nuovo e difficile ambiente mi presenterà.
Credo che essere un operatore umanitario significhi mettersi al servizio di chi ha bisogno. Voglio rendere la vita un po' più facile a quanti non hanno voce né potere, alle vittime di guerre o di disastri naturali, in paesi dove le tensioni politiche e i conflitti rendono impossibile vivere una vita "normale". Fornire quell'aiuto, però, in situazioni di crisi complesse e confuse, può essere molto, molto complicato.
Anche avendo a disposizione elettricità, buone strade, molto denaro e tutto il personale che si desidera, non è facile organizzare un'operazione di emergenza.
Figuriamoci quando non si hanno a disposizione tutte queste cose. E non si hanno mai. Allora si improvvisa, si cerca di far arrivare sacchi di cibo a migliaia di persone in comunità remote ed isolate, spesso in un contesto segnato dall'insicurezza e dalle conseguenze di disastri naturali. E bisogna cercare di mantenersi anche in buona salute. Qui in Afghanistan, almeno vivo in una casa e mangio frutta fresca e verdure. Dopo mesi passati in una tenda, in Kenia, mangiando solo riso e fagioli, vivo nel lusso.
Nel lavoro, si affrontano gli stessi ostacoli che qualunque manager in qualunque lavoro, nel mondo, si trova davanti. Le tue richieste, arrivano al quartier generale? I tuoi capi ti sostengono? In più, c'è l'aggiunta di essere un manager donna, spesso l'unica donna intorno ad un tavolo dove si devono prendere decisioni importanti e in un ufficio dove ci sono quasi un centinaio di uomini, tutti pronti a metterti in discussione. Molte donne sanno di cosa sto parlando, in qualunque settore esse lavorino.
Ma questi problemi sono niente. Il problema vero, più grande, è che la vita di molti dipende dalla tua decisione. Non possiamo permetterci di sbagliare. Non in questo lavoro. Quando ero in Kenia, al campo rifugiati di Dadaab, l'anno scorso, c'erano migliaia di rifugiati che arrivavano dalla Somalia, in fuga dalla siccità, dal conflitto e dalla fame. Era chiaro che queste persone, specialmente donne e bambini, avevano bisogno di aiuto immediato. Secondo le leggi locali, chi cerca asilo deve essere registrato prima di poter ricevere assistenza umanitaria. Questo iter, però, richiede settimane. E noi non avevamo tutto quel tempo. Dovevamo prendere una decisione. Subito. E andando contro le regole del WFP, abbiamo deciso di distribuire il cibo ai rifugiati anche se non erano ancora stati registrati. Almeno temporaneamente. Sono convinta che quella decisione abbia salvato migliaia di vite umane.
Eppure, nonostante tutte queste difficoltà, amo il mio lavoro. Mi ha fatto imparare tanto e mi ha reso più forte e più sicura di me stessa. Quello che mi dà la forza di continuare è vedere una madre e un bambino malnutriti guarire grazie al nostro cibo e tornare a sorridere, o quando una giovane donna mi prende come esempio e aspira a diventare una leader nella comunità.
Ma il sostegno maggiore viene dalla mia famiglia, dai miei amici e parenti, a casa, nelle Filippine. Le famiglie degli operatori umanitari sono gli eroi dietro le quinte del mondo umanitario. Recitano preghiere quando vedono in TV le immagini dall'Afghanistan, passano ore su skype per parlare con l'Iraq, e inviano pacchi con generi di conforto in Sud Sudan. Senza il loro sostegno incondizionato, sarebbe impossibile combattere le avversità, al servizio di quanti hanno bisogno.
Lourdes Ibarra