Soldati stranieri hanno raggiunto Aleppo per aiutare i ribelli, in Libano ci sono stati scontri tra alauiti e sunniti, Regno Unito e Stati Uniti minacciano Assad.
I combattimenti tra i ribelli e le forze militari fedeli al regime di Bashar al-Assad in Siria continuano, soprattutto nella città di Aleppo, dove da settimane si verificano attacchi e bombardamenti per la conquista dei diversi quartieri della città. Gli abitanti della zona iniziano a mostrare i primi segni di insofferenza per la battaglia che continua da settimane e che ha reso molto difficile e pericolosa la vita in alcune aree di Aleppo. I ribelli locali negli ultimi giorni hanno ricevuto rinforzi grazie all'arrivo di nuovi combattenti, giunti dall'estero e pronti a contrastare gli attacchi delle forze governative.
Stando agli ultimi reportage di Al Jazeera, la guerra civile in Siria ha attirato diverse persone da altri paesi arabi, che hanno raggiunto il paese per dare aiuto ai ribelli nella loro lotta contro Assad. Per ovvie ragioni di sicurezza, molte di queste persone preferiscono non farsi intervistare e non danno informazioni precise sul proprio luogo di provenienza. La maggior parte dei combattenti è siriana, ma ad Aleppo non è così raro trovare persone arrivate dall'Arabia Saudita e dall'Egitto. Sono aiuti importanti, spiegano i ribelli, anche perché in città la popolazione fino a ora ha preferito non partecipare alle rivolte, rendendo più difficile l'avanzata dei gruppi armati che chiedono la fine del regime oppressivo di al-Assad.
Intanto, i combattimenti proseguono anche in diverse aree di Damasco, la capitale della Siria. Le forze governative hanno condotto ieri una serie di attacchi nella periferia a sud della città per recuperare terreno nei confronti dei ribelli e degli attivisti. I bombardamenti condotti con elicotteri e carri armati hanno causato la morte di circa 40 persone, hanno riferito alcuni testimoni, i cui resoconti non possono essere sempre verificati perché per i giornalisti è molto difficile accedere e muoversi nel paese.
Sul fronte diplomatico, intanto, il Regno Unito ha diffuso un avvertimento alle autorità siriane simile a quello degli Stati Uniti sull'eventuale uso di armi chimiche nel conflitto. Dopo una telefonata con il presidente statunitense Barack Obama, il primo ministro britannico, David Cameron, ha spiegato che l'utilizzo o anche solo la minaccia di utilizzare le armi chimiche da parte del governo siriano porterebbe a un cambiamento netto dei rapporti con il paese, avvicinando la possibilità di risposte alternative a quelle diplomatiche. Obama e Cameron hanno discusso inoltre con il presidente francese, François Hollande, una nuova strategia per dare sostegno alle opposizioni che combattono il regime di al-Assad.
Mercoledì è stato anche il terzo giorno di scontri nel confinante Libano, dove le vicende della Siria hanno risvegliato vecchi attriti tra i sunniti e gli alauiti (la stessa corrente di Bashar al-Assad e dei clan siriani al potere). Si stima che a causa degli scontri siano morte in tutto 12 persone e altre 100 siano rimaste ferite in una zona di Tripoli, seconda città più grande del paese abitata in prevalenza da musulmani sunniti, ma con una minoranza cristiana e musulmana alauita. Per ieri pomeriggio era stato fissato un cessate il fuoco, ma secondo alcuni testimoni raggiunti da Reuters i combattimenti sarebbero andati ugualmente avanti. A giugno le tensioni tra sunniti e alauiti avevano portato ad altri violenti scontri con la morte di almeno 15 persone. Dieci soldati erano rimasti feriti mentre cercavano di arrestare le violenze nel paese.