di Rosaria Capacchione
NAPOLI - A voler mettere in fila le 191 inchieste che hanno attraversato l'Italia delle ecomafie, a voler guardare bene nelle migliaia di faldoni che le compongono, si scopre che raccontano solo a metà il fenomeno che ha appestato campagne e coscienze diventando fonte di guadagni pressoché illimitati (tre miliardi di euro nel solo 2010, stando alle stime di Legambiente) per le consorterie mafiose.
Si scopre, cioè, che in tutte quelle carte mancano i nomi: di mediatori, di lobbisti che hanno tessuto la strategia, di uomini delle istituzioni che hanno tollerato o coperto il traffico di rifiuti, di industriali che hanno approfittato dell'offerta a costi bassi per smaltire milioni di bidoni di sostanze velenose finiti nelle terre di Giugliano, Villaricca, Villa Literno, Casal di Principe, Maddaloni, Marcianise. A voler riunire le 191 inchieste in una sola, si scopre che raccontano, dunque, una storia incompiuta, piena di buchi: quelli delle discariche abusive e quelli delle conoscenze investigative, interrotte quasi sempre a mezza strada.
La genesi di Gomorra - Partiamo dall'inizio, e cioè dal racconto dell'imprenditore Pietro Colucci che data la nascita dell'ecomafia facendola coincidere con l'emergenza rifiuti in Lombardia e Toscana, nel 1985. Colucci ha riferito dei camion che arrivavano dal Nord e che finivano nelle discariche di Sessa Arunca e Castelvolturno.
Ebbene, la prima - regolarmente autorizzata - fu chiusa a furor di popolo (a capo del comitato c'era Raffaele Nogaro, il vescovo che allora reggeva la diocesi di Sessa e che poi passò a Caserta); l'altra, che era sempre stata abusiva, è poi diventata lo snodo centrale del sistema di smaltimento che faceva capo alla camorra casalese e mondragonese. Ai tempi delle proteste a Sessa Aurunca, i carabinieri fermarono decine di camion carichi di rifiuti che sversavano illegalmente l'immondizia nell'impianto di Giacomo Diana. Il quale fu denunciato ma mai fermato. Aveva ottenuto - ma da chi? - un salvacondotto che si rivelerà necessario al prosieguo della storia e alla crescita del sistema dei consorzi di bacino.
L'avvocato - Risale a quel tempo la trasformazione del comparto dei rifiuti da artigianale a industriale. Ed è sempre in quel tempo - il 1988 - che compare sulla scena Cipriano Chianese, avvocato di Parete con entrature importanti nella magistratura, nelle forze dell'ordine, nel Sisde. All'indomani del suo arresto, il 4 gennaio del 2006, così di lui scriveva la Dda di Napoli: «Sviluppando alla massima potenzialità le relazioni variamente intessute, ha fornito informazioni riservate agli esponenti di vertice e agli affiliati al clan dei Casalesi». Negli atti di quell'inchiesta è contenuto anche il verbale di perquisizione nella casa di Licio Gelli.
Summit a tavola - Che Chianese fosse una pedina importante del sistema si era scoperto, però, già nel 1992, con le dichiarazioni del primo pentito ecomafioso: Nunzio Perrella da Fuorigrotta, l'uomo che aveva abbandonato il traffico di droga per dedicarsi a quello, ben più redditizio, di rifiuti, socio in affari di Gaetano Vassallo (che ha iniziato a collaborare con la giustizia sedici anni dopo), di Gaetano Cerci (parente del capo casalese Francesco Bidognetti), di imprenditori liguri e toscani.
Il patto societario era stato siglato a Villaricca, nel ristorante La Lanterna dove l'avvocato Chianese era di casa. Fu in quella sede, a dar retta a Perrella, che la compravendita di rifiuti industriali e tossici fu messa a sistema, con la partecipazione - ovvia - dei produttori di quegli stessi rifiuti. Gaetano Vassallo avrebbe potuto dire molto di più di quel patto, facendo i nomi di tutti i partecipanti all'affare. Se lo ha fatto, quell'elenco è ancora secretato. Il dato di fatto è che a oggi non conosciamo neppure uno dei committenti dello smaltimento illegale. E neanche gli intermediari.
Fratelli di loggia - Eppure, nel 1995, l'allora capo della Procura di Napoli, Agostino Cordova, nel corso di un'audizione in commissione ecomafie, aveva lasciato intendere che ci sarebbe stata presto una svolta. Nella ricostruzione della Dda, Licio Gelli era necessario per l'accordo in quanto in possesso di una fitta rete di contatti con gli imprenditori del nord Italia che avrebbero dovuto fornire i rifiuti.
Riferì il presidente Massimo Scalia: «Nel corso delle audizioni con Agostino Cordova abbiamo appreso che per interessarsi di rifiuti in Campania bisognava passare per Gelli» ma anche per altri appartenenti a logge massoniche. A chi si riferiva Cordova? All'imprenditore ligure Ferdinando Cannavale, che aveva partecipato al tavolo con Perrella e Vassallo? A Gaetano Cerci, che nel 1991 e nel 1992 era stato ospite di Licio Gelli assieme al camorrista Guido Mercurio, che a Villa Literno (che ospita buona parte delle ecoballe della penultima emergenza su piazzole costruite su terreni riferibili al clan Iovine) gestiva un impianto di rottamazione? Ad altri soggetti i cui nomi sono rimasti sconosciuti?
La logistica - Le indagini più recenti hanno rivelato e dimostrato l'esistenza di un accordo stabile tra il gruppo Zagaria, monopolista del movimento terra e del trasporto dei rifiuti, e il clan Belforte di Marcianise. All'epoca dell'inchiesta su Pasquale Centore - era il 1999 - funzionario di banca ed ex sindaco di San Nicola la Strada arrestato per traffico internazionale di droga, assassino reo confesso del padre del giocatore Marco Borriello, di questo accordo non si sapeva molto e forse fu per questo che sfuggì l'altro collegamento con Licio Gelli. Nel processo milanese sulla connection era stato coinvolto anche un tale Andrea Cusano, braccio destro di Centore, titolare della Euro Truck.
Il 19 gennaio 1991 era stato controllato assieme alla moglie nei pressi di Villa Wanda, ad Arezzo. Nello stesso posto era stato trovato anche l'anno successivo, il 29 settembre del 1992. Nel 1997, invece, ai cancelli della residenza aretina del Venerabile era stato identificato Antonio Belforte, cugino di del capozona di Marcianise. Si ipotizzò che i contatti con Gelli fossero riferibili al traffico di cocaina, nessuno (?) pensò alle ecomafie. Cusano era un autotrasportatore. E il gruppo Belforte stava facendo ingresso nel business dei rifiuti attraverso la Sem, sequestrata tre anni fa. Perché nessuno ha seguito quella traccia?