Una vita in prima linea, sul fronte di guerre lontane, per dare una mano a chi si ribella ai regimi. Ma Matthew VanDyke, 33 anni, non vuole essere definito un "turista di guerra". Lo scorso anno ha lasciato gli Stati Uniti per unirsi ai ribelli che combattevano contro Gheddafi in Libia. Una decisione maturata dopo un tour in moto nel Paese, che lui racconta così. «Ho deciso che non potevo rimanere a casa e vedere cosa succedeva alle persone di cui mi imporava. Ho chiamato la mia ragazza e le ho detto "scusa, oggi non tornerò dal lavoro, vado in Libia". E sono partito».

Dopo una settimana Matthew fu catturato dalle forze di Gheddafi, nella città di Brega, e spedito nella prigione di di Abu Salim: qui è stato sottoposto a torture psicologiche, ha temuto di morire. «Pensavo sarei rimasto in prigione 20 o 30 anni, o che mi avrebbero giustiziato. La Nato non era ancora arrivata. Quando sono riuscito a scappare, sono tornato al fronte». Una volta a casa, Matthew ha sentito di nuovo il richiamo del fronte: dalla Libria alla Siria, che sarà la sua prossima tappa.

«Non vedo l'ora di partire. Ma non sono come quelli che cercano emozioni in guerra, non mi piacciono i turisti della guerra, nè chi ci va per provare emozioni forti. Se le voglio mi faccio un giro in moto» dice. Consapevole dei rischi, ha il supporto della famiglia: unico ostacolo i soldi, che sta raccogliendo anche online. Il piano prevede 4 settimane di "missione" e la realizzazione di un documentario, che finirà online.

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