"Ho curato mia moglie". Ora il suo metodo sarà sperimentato.

PIERANGELO SAPEGNO


Una vecchia casa di campagna in mezzo ai fiori. C'è un labrador che sembra grande come un leone. Il professor Paolo Zamboni si muove in modo strano trascinandosi dietro nella sua mole corposa tutta la parte sinistra, come se non avesse più muscoli dentro la sua gamba e il braccio. Malattia neurologica, la Multifocal Motor Neuropathyc. Lo catturò quando aveva 35 anni ed era un grande chirurgo vascolare che lavorava fra gli States e l'Italia. La sua vita è cambiata all'improvviso. Sua moglie in quei giorni stava diventando cieca. Anzi, leggendo la prima riga del libro che il giornalista Marco Marozzi aveva cominciato a scrivere, lo corresse: «Era diventata cieca». Sclerosi multipla.

Adesso Matilde è la signora dei fiori, in questa casa di campagna. Vede i colori, vede tutti i colori. L'ha curata lui con un metodo che s'è inventato per salvare la vita, o forse solo per ritrovarla, come si raccoglie un fiore, si cerca una luce, o una cosa perduta. Il libro, Marco Marozzi, l'ha già finito: «Sogni Coraggiosi», Mondadori. Ma da ieri, Paolo Zamboni sta vincendo un'altra battaglia: la sua terapia ha cominciato a vivere anche nella Medicina ufficiale. Una lunga prova che finirà fra un anno o due, con due ragazzi di 25 e 29 anni che proveranno per tutti il suo metodo, una teoria che porta un catetere e un palloncino a sbloccare le vene del cervello che molti malati di sclerosi multipla hanno ostruite. C'era chi non ci credeva e chi non lo voleva. Sono stati i malati a insorgere in suo favore, contro le cattedrali della sanità.

Si chiama Brave Dreams, questo progetto. Non sappiamo dove ci porterà. Cammina in modo strano, come quest'uomo, sulla leggerezza delle nuvole. Ma Brave Dreams non sono solo Sogni Coraggiosi. Sono storie di vita e di speranza. Nicoletta Mantovani, vedova Pavarotti, malata di sclerosi multipla come altri 60mila in Italia, dice che «forse adesso non è più un'utopia guarire da questa malattia, da quando Paolo Zamboni è riuscito ad applicare la sua tecnica che ha messo a soqquadro il mondo scientifico, ma ha avuto risultati molto significativi sui malati». Anche lei è in lista d'attesa per un intervento sperimentale, «però non voglio favoritismi e aspetto. L'elenco è lunghissimo». Non c'è mistero in questa attesa e non c'è venerazione.

Resta il fatto che da ieri, quando è cominciata la sperimentazione della sua cura per la sclerosi multipla, nessuno degli anni di liti e di polemiche che hanno diviso il mondo accademico è stato cancellato. Zamboni s'è preso gli elogi delle Università di Stanford e Buffalo, anche di quelle di Detroit e Montreal, poi però Sherbrooke, in Quebec, ha appena fatto una prova su 130 pazienti sostenendo che l'ipotesi su cui basa la sua teoria è sbagliata.

In Italia 15 comitati scientifici su 16 gli hanno dato ragione. Uno, quello di Orbassano, no. Molti neurologi italiani hanno storto il naso, quelli di Ferrara si sono rifiutati di provare i suoi interventi. La burocrazia ha sempre detto di no e il Consiglio Superiore della Sanità l'8 giugno 2010 ha sentenziato che «a oggi, l'efficacia di qualsiasi procedura terapeutica vascolare non è sicuramente dimostrata». In pratica: il servizio sanitario non può offrire l'intervento in queste condizioni. Sono insorti i malati. Per ora alcuni Paesi esteri, come la Serbia e la Giordania, hanno adottato il metodo Zamboni, mentre in Italia queste cure sono praticate nelle cliniche private (il costo varia dai 4 ai 20mila euro). I risultati sono abbastanza positivi, in realtà: nel 2007, su 65 pazienti operati usando il catetere con palloncino, 44 hanno avuto un rapido miglioramento. Sono divisi i politici: la Regione Emilia Romagna finanzia il progetto con più di due milioni d'euro, e la Lega Nord la contesta usando gli stessi dubbi del Consiglio Superiore della Sanità. Poi c'è l'Associazione Italiana Sclerosi Multipla che riassume perfettamente il clima generale: il Consiglio scientifico è nettamente contrario, i suoi malati invece sono a favore nella stragrande maggioranza. Basta fare un giro su facebook, dove sono più di 40mila a stare con Zamboni.

Lui va avanti. Continua a studiare, sognando di aver ridato davvero la vita a sua moglie. Ha organizzato una équipe molto affiatata e molto unita. Va ancora in sala operatoria guidando al computer i suoi uomini. Vivono tutti insieme dentro a questo progetto. Persino sua figlia adesso ha cambiato facoltà e s'è iscritta a medicina, prigioniera pure lei di questa missione. Ci vorranno due anni per sapere come va a finire. Ma la storia di Paolo Zamboni, che era un grande chirurgo vascolare fra l'Italia e gli States e che è diventato uno scienziato per salvare sua moglie, è già da sola una speranza.

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