Wikileaks
di Stefania Maurizi
L'uomo che controllava ogni business nel Paese era Rami Makhlouf, cugino di primo grado del dittatore. La mediazione di 'Mister Cinquepercento' con le aziende italiane e svizzere nei file che l'Espresso pubblica in esclusiva
Era la chiave che apriva tutte le porte del business nella Siria di Assad. Rami Makhlouf, cugino di primo grado del dittatore, è finito nelle cronache internazionali con il soprannome di Mr. Cinque Percento. Un nome, un programma. Controllava di tutto: dalle industrie delle telecomunicazioni a quelle petrolifere, dalle costruzioni alle banche. Ora i 'Syria Files' di WikiLeaks, che l'"Espresso" pubblica in esclusiva per l'Italia, rivelano come anche per vendere gli ascensori in Siria era necessario passare attraverso società vicine al cugino di Assad. I documenti contengono la corrispondenza tra una multinazionale leader nel settore, la svizzera Schindler, e il rivenditore locale in Siria.
E' il giugno del 2011, la rivolta contro il regime è iniziata da appena due mesi, ma è subito finita nel sangue. E l'Unione Europea ha già approvato sanzioni contro le figure apicali del regime. A finire nella lista nera insieme ad Assad è il chiacchierato cugino, Rami Makhlouf. La multinazionale Schindler si muove subito, comunicando al rivenditore siriano che «il nostro attuale accordo [commerciale] fa riferimento in modo esplicito al nome Ramak. Questo accordo è un documento ufficiale e che ha valore legale.
E la Schindler non è a suo agio per la suddetta connessione a Mr. Rami Makhlouf». Ramak, infatti, è uno dei gruppi che fanno parte della rete di aziende del cugino di Assad che, come una ragnatela, inviluppano l'economia siriana fino ad arrivarne a controllare il 60 percento. Per chi si è ribellato al regime, Makhlouf è un simbolo: «un uomo che è l'incrocio tra i privilegi di famiglia, la lealtà al clan e la crescente ingordigia», ha scritto il "New York Times". Quando la rivolta contro il regime esplode, il potente uomo d'affari diventa un obiettivo sia delle sanzioni sia dell'odio del popolo. Per ragioni legali e d'immagine, Schindler non può ignorare i provvedimenti di Bruxelles: i patti commerciali con il rivenditore siriano vanno riscritti, facendo in modo di tagliare i ponti con le aziende di Rami Makhlouf. Schindler chiede anche al partner siriano di cambiare l'email: «l'uso di Ramak nel suo dominio crea problemi ai nostri avvocati», registra il file di WikiLeaks.
Per le aziende straniere sembrava quasi impossibile fare affari in Siria senza passare per la ragnatela di holding di Rami Makhlouf. Anche il business italiano pare riconducibile ad aziende che si muovono nella galassia dei compagni di business di Makhlouf.
Un'email del gennaio 2012, presente nel database dei Syria Files, documenta i rapporti tra la Selex Sistemi Integrati del gigante Finmeccanica e l'Alfadel Group, azionista della potente Cham Holding, che prima delle sanzioni europee era nelle mani di Makhlouf. Mentre la Saipem del gruppo Eni, nel 2010, si è aggiudicata i lavori per la costruzione dell'impianto centrale del pozzo petrolifero siriano di Kurbet grazie alla compagnia Gulfsands, di cui Makhlouf era azionista al 6,5 percento.
Poi, però, il bagno di sangue ha rimesso in discussione tutto, facendo saltare appalti ed affari, ma le maglie delle sanzioni sono sempre troppe larghe per stoppare i Mr. Cinque Percento che ingrassano all'ombra dei dittatori.