di Susanna Turco
Sono almeno una decina i possibili candidati alla successione del governatore uscente. E le urne dell'Isola saranno un test per le alleanze tra i partiti che, nonostante il pesante calo di consensi, potrebbero replicare la coalizione che sostiene Monti.
Francesco Cascio, Gianfranco Micciché, Gianpiero D'Alia, Rosario Crocetta, Claudio Fava, Fabio Granata, Vladimiro Crisafulli, Massimo Russo, Nello Musumeci, Gaspare Sturzo, Cateno De Luca, Innocenzo Leontini. Una squadra di calcio, praticamente. Nomi che fuori dall'isola forse dicono poco, ma che corrispondono a quelli dei probabili candidati alla poltrona del governatore dalla Sicilia post Lombardo. Un test temutissimo da tutti i leader dei partiti nazionali: non solo da Angelino Alfano che, essendo di Agrigento, rischia di rimetterci il posto.
I partiti, del resto, fanno bene ad aver paura. Basta guardare i sondaggi. L'indagine effettuata in Sicilia dall'istituto Demopolis, all'indomani delle dimissioni di Raffaele Lombardo, sulle intenzioni di voto alle prossime regionali d'autunno, restituisce in effetti numeri da paura. A votare andrebbe solo il 61 per cento degli elettori (resterebbero a casa quattro su dieci), e il 28 per cento non saprebbe chi votare. Del resto non c'è da stupirsene, visto che, in sei anni, l'indice di fiducia dei siciliani nei partiti è crollato dal 22 al 4 per cento.
«Il quadro delle intenzioni di voto appare confuso e frammentato», spiega il direttore dell'Istituto Pietro Vento. Una frammentazione che, come da tradizione isolana, riflette e moltiplica le difficoltà a livello nazionale. Anche in Sicilia, infatti, i partiti non hanno deciso alleanze e candidati: in pista per sostituire Lombardo circolano per ora dieci-dodici nomi, «tutti uomini» ha notato con rammarico il ministro Fornero. In più, nell'isola hanno ancora meno tempo per recuperare percentuali che, allo stato, appaiono disastrose.
A soffrire di più, secondo Demopolis, sarebbe il Pdl: se si andasse a votare oggi, in Sicilia, prenderebbe il 15 per cento, meno dell'Mpa di Raffaele Lombardo (16 per cento, primo partito), ma soprattutto meno persino del Pd che arriverebbe al 15,2. Per fare un raffronto, basti pensare che nelle regionali del 2008 il partito di Berlusconi prese il 33, 4 per cento, cioè più del doppio; mentre il Pd, tradizionalmente debole in Sicilia, si fermò al 18,7 . E' vero che il Popolo delle Libertà risente, oggi, delle scissioni 2009-2010: il Grande Sud di Gianfranco Micciché, che è quotato al 7,5 per cento,i finiani di Fli (4,5 per cento), mentre non pare poter contare su partiti come l'Udc di Gianpiero D'Alia (stabile al 12,5 per cento, stessa percentuale con cui uscì dalle urne nel 2008). Ma è anche vero che se Angelino Alfano non riuscirà a tenere insieme i frammenti dell'alleanza, nella sua Sicilia ancor prima che sul territorio nazionale, rischia davvero tanto.
Per il momento, tuttavia, non si intravedono grandi scenari di novità. Non è un caso che il presidente dell'Ars, Francesco Cascio, uno dei nomi sui quali potrebbe convergere il Pdl siciliano, abbia sottolineato come «l'unico governo che può avere autorevolezza deve fare leva su una solida base parlamentare, come quella che sostiene il governo Monti: Pdl-Pd e Udc». Nulla di nuovo, insomma. Tanto più che il montismo in salsa siciliana era già stato realizzato da Raffaele Lombardo ultima maniera. Nella sua quarta versione di governo, infatti, ottenuto anche l'ingresso del Pd in maggioranza, il leader dell'Mpa aveva dato una veste tecnico-politica alla sua giunta, nominando assessori personalità come Massimo Russo e Caterina Chinnici, e prefigurando di fatto lo scenario 2013 del Monti-dopo-Monti. Che al livello nazionale non si è ancora realizzato, ma in Sicilia si vorrebbe già replicare.