Un mercato organizzato di capitali in cui a essere trattati sono solo titoli emessi da imprese orientate alla creazione di "valore sociale". Guardando agli andamenti delle borse, l'idea non può che suscitare interesse. «Proposta in divenire», Borsa Sociale è un progetto nato nel 2009 dal lavoro di ricerca di Avanzi - Sostenibilità Per Azioni. Per saperne di più abbiamo rivolto qualche domanda a Davide Dal Maso, uno dei responsabili del progetto, nonché Segretario Generale del Forum Per la Finanza Sostenibile.

Dott. Dal Maso, cosa dovrebbe essere la Borsa Sociale?

«Noi crediamo che ci sia un mercato vasto e potenzialmente in crescita per prodotti e servizi che abbiano un contenuto a forte orientamento sociale e ambientale, ad esempio nei settori della cultura, dell'assistenza, della sanità o dei servizi ambientali. Il problema è che non c'è nessun soggetto in grado di soddisfare questa aspettativa: non può il mondo dell'impresa for profit, poco credibile, né può quello dell'impresa non profit, in molte circostanze ancora poco sviluppato e strutturato. La nostra idea è che sia dato spazio per organizzazioni, quelle che noi chiamiamo Imprese a Finalità Sociale, che tengano insieme l'aspetto visionario e ideale tipico del non profit ma che, nello stesso tempo, presentino anche delle caratteristiche tipiche delle società di capitali che le possano far diventare appetibili per un investitore responsabile: la Borsa Sociale non dovrebbe essere altro che un mercato di capitali dedicato alle Imprese a Finalità Sociale in cui fare incontrare domanda e offerta di capitali responsabili. All' estero esistono già delle esperienze simili: la Social Stock Exchange, in Inghilterra, è certamente l'esempio più maturo in proposito, anche se rispetto alla nostra proposta è più orientata verso il mondo for profit».

Sono le attività svolte o la governance interna a qualificare un'impresa come Ifs?

«Entrambi gli aspetti: noi crediamo che esista un legame molto forte tra la missione di un'impresa e la sua governance. In questo senso, la stessa attività fatta da imprese diverse non produce lo stesso capitale sociale. Un tipico esempio è quello della sanità o dell'assistenza, ambiti in cui il servizio erogato da una cooperativa sociale è diverso da quello di una società for profit: senza pensare che da un lato siano tutti missionari e dall'altro tutti banditi, gli obbiettivi dell'impresa, e quindi le motivazioni che guidano i rispettivi operatori, sono differenti. Anche una cooperativa di costruzioni, qualora avesse una chiara vocazione sociale e misurasse i risultati ottenuti, potrebbe rientrare tra le Ifs. Per capirci, se per un'impresa tradizionale il profitto rappresenta l'obbiettivo mentre il rispetto delle norme giuridiche ed etiche il vincolo, per le Ifs l'obiettivo è rappresentato dalla creazione di valore sociale mentre il vincolo dal rispetto dell'equilibrio economico-finanziario».

Quali accorgimenti avete previsto per far sì che la quotazione nella Borsa Sociale non snaturi le caratteristiche proprie di una cooperativa, ad esempio la sua democraticità interna?

«Per soddisfare le esigenze di capitale di Ifs come le cooperative, di per sé difficilmente quotabili, abbiamo immaginato la creazione di veicoli controllati da queste stesse imprese, o ancor meglio da consorzi di cooperative, che abbiano una quota di minoranza del proprio capitale quotato nella Borsa Sociale»

Passiamo agli investitori responsabili: quale il loro profilo?

«Non solo investitori istituzionali ma anche singoli cittadini. Molte persone, infatti, potrebbero essere interessate a diversificare il loro portafoglio di investimento, mettendo una quota più o meno ampia del loro patrimonio in "azioni sociali". Ovviamente non si tratterebbe di beneficenza: anche se non ai livelli promessi dai titoli tradizionali, l'investimento sarebbe comunque remunerativo.

A che punto siamo con il progetto?

Al momento, purtroppo, siamo un po' fermi. Le difficoltà maggiori riguardano il lato della domanda di capitale, e quindi le imprese, nel senso al momento sembra non esserci un numero sufficiente di operatori tale da rendere sostenibile un mercato di questo tipo. È infatti ovvio che se gli operatori sono pochi e piccoli, la cosa non funziona. L'idea per noi rimane valida, ma forse nel nostro Paese i tempi non sono ancora maturi.

A.P.

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