«Siamo preoccupati per gli 1,8 milioni di bambini italiani in indigenza». E ora con la spending review...
Per ora è un'authority nel limbo. «Ostaggio della burocrazia», denuncia chi la guida (teoricamente) da più di otto mesi. Vincenzo Spadafora, 37 anni di Afragola, ex presidente del comitato italiano di Unicef, è il primo Garante per i diritti dell'Infanzia e Adolescenza, authority istituita ormai un anno fa. Spadafora è stato nominato d'intesa dai presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani, per venire incontro ai desiderata dell'Unione Europea (e a una legge italiana vecchia ormai vent'anni) che auspicavano un organo di coordinamento per i diritti dei minori. Ecco, nonostante la moral suasion comunitaria, il regolamento attuativo che la rende (finalmente) operativa dovrebbe essere stato firmato in questi giorni dalla presidenza del Consiglio dei Ministri, anche se la conferma ufficiale ancora non c'è stata.
I motivi di questo ritardo, Spadafora?
«Non è stata la priorità del governo, finora. Per carità capisco il momento estremamente complicato del Paese, ma scontiamo probabilmente un disinteresse verso l'infanzia e le problematiche dei minori (oltre 10,8milioni di "piccoli italiani", dicono le statistiche Istat, ndr.). Se fosse l'authority del gas e delle comunicazioni la vacatio regolamentare sarebbe stata certo minore. Peccato, perché finora manca una visione complessiva su come il governo intende operare per assicurare servizi e assistenza. In tempi di spending review la sensazione è che avremmo potuto e che potremmo ancora fungere da coordinamento e da pungolo tra l'associazionismo del terzo settore, il vero incubatore di politiche necessarie in termini di welfare perché lo Stato riesce a garantire sempre meno».
Abbiamo appena firmato il Fiscal Compact europeo in cui ci impegniamo a ridurre della metà il debito pubblico nei prossimi anni, come conciliare questa urgenza con le politiche sociali destinate ai minori?
«Proprio per questo, cosciente che siamo nell'era delle riforme a costo zero per lo Stato, ritengo che l'Authority che ho l'onore di dirigere può svolgere anche un compito di consulenza per i tagli selettivi alla spesa pubblica sui temi legati all'infanzia. Ci sono tutta una serie di centri di spesa su cui si può agire, ma la sensazione è che l'esecutivo si stia muovendo in ordine sparso senza una visione di sistema».
In che senso, ci spieghi meglio?
«Ad esempio si è decisa l'abolizione dell'Osservatorio nazionale per l'Infanzia. Un ente sostanzialmente a costo zero, dato che la contabilità è di circa 8mila euro all'anno legati ai rimborsi spese di chi vi lavora. Sono tutti volontari legati al mondo dell'associazionismo no-profit, ora proprio per la spending review (da qui un appello controfirmato da 84 associazioni per tenerla in vita, ndr. ) si è decisa l'abolizione di tutta una serie di istituti senza capire quali sono quelli che costano di più e quelli di meno. Così sono tagli lineari, non certo selettivi».
Altro tema la sanità, preoccupazione per i nuovi tagli?
«Molta. L'ipotesi è la chiusura di diversi reparti di pediatria. Soprattutto nel Sud, con il trasferimento di bambini e adolescenti con malattie croniche nei reparti con adulti. In Calabria, nel Lazio, in Molise, in Campania, i tagli sono importanti e la contropartita è nulla. Attendiamo soprattutto di capire come verranno usati i fondi europei promessi dal ministro per la Coesione Territoriale, Fabrizio Barca. Si è parlato di investimenti per gli asili nido nelle regioni depresse. Ecco, per ora, noi non ne sappiamo nulla. Non vorremmo che non fossero ancora stati utilizzati come annunciato. Abbiamo poi richiesto un incontro al ministro Fornero. Ha la delega alle Politiche sociali. Bene, non ci ha ricevuto. Come il premier Monti, peraltro. "Le priorità sono altre", ci hanno risposto da Palazzo Chigi. Ma intanto gli ultimi studi Istat ci dicono che in Italia ci sono 1,8 milioni di bambini in condizioni di indigenza, 723mila in povertà assoluta. E un bambino povero ora, fa un adulto povero domani».
E sulla giustizia minorile a che punto siamo?
Eravamo un esempio per altri Paesi...
«Quando creammo il dipartimento per la Giustizia minorile venimmo individuati come una best-practice in tutto il mondo. Ora siamo in ritardo, soprattutto perché la tutela dei minori non è adeguata per coloro i quali sono coinvolti in processi penali e civili. E anche per quei piccoli "detenuti" insieme alle loro madri in carcere (sarebbero una sessantina in tutta Italia, ndr.) non sempre viene rispettata la legge che li tutela in modo stringente».
Fabio Savelli