La conferenza internazionale sull'Aids ha richiamato migliaia di partecipanti da tutto il mondo per fare il punto sulla lotta al virus, gli sviluppi della ricerca scientifica, i sistemi di intervento e le misure politiche intraprese o da intraprendere. Segnalando un bisogno di condivisione «oltre i confini delle istituzioni e dello sviluppo».

di Sara Garnero

Si è conclusa venerdì scorso a Washington la XIX Conferenza internazionale sull'Aids, iniziata il 22 luglio. Ha richiamato quasi 24 mila partecipanti provenienti da 183 paesi, che si sono visti impegnati in 194 sessioni di lavoro per tutta la settimana.

Migliaia di delegati hanno firmato la dichiarazione ufficiale della conferenza, la "the Washington D.C. declaration", che afferma l'importanza di un'azione comune e multidisciplinare nella lotta contro l'aids, all'insegna del rispetto dei diritti umani per tutti. In particolare il documento auspica un aumento degli sforzi sul fronte di investimenti, ricerca scientifica, prevenzione, accesso ai trattamenti e abbattimento delle discriminazioni subite dai sieropositivi.

Il premio nobel Francoise Barré-Sinoussi, durante la sessione di chiusura della conferenza, ha commentato la fine dei lavori con uno sguardo al futuro sulle prossime raggiungibili tappe nello sradicamento globale della malattia: «ci sono scadenze importanti davanti a noi. Un anno fa, i capi di stato e di governo si erano impegnati ad avere 15 milioni di persone in trattamento entro il 2015. Non possiamo perdere questo obiettivo», a sottolineare come la conferenza sia solo una tappa di un processo ancora lungo e tortuoso.
 
Passi avanti e limiti

Durante la settimana di meeting, sono stati presentati gli ultimi studi condotti sul virus, in particolare sulla somministrazione precoce della terapia, la trasmissione cellulare dell'infezione e la capacità di recepimento delle cure. Nonostante i successi registrati dalle terapie, esse non sono esenti da limiti: la Ias (International aids society) sottolinea infatti come gli oltre 34 milioni di malati siano costretti ad assumere droghe costose e potenzialmente tossiche per tutta la vita e siano soggetti maggiormente a malattie cardiovascolari, ossee e a deterioramento cognitivo. La fornitura di farmaci inoltre non raggiunge tutti coloro che li necessitano, in particolare in contesti poveri di risorse dove le spese associate alla loro fornitura è un grande peso per i sistemi sanitari pubblici e per le organizzazioni che se ne occupano.

Molti passi avanti sono stati fatti ma in modo diseguale e non sempre coordinato. Ancora oggi infatti «più di 300 mila bambini sono nati sieropositivi, mentre noi abbiamo, dagli anni 90, gli strumenti per prevenire la trasmissione del virus hiv da madre a figlio. É inaccettabile che le strategie di riduzione del rischio, tra cui i programmi di cambio degli aghi, non siano implementati ovunque quando sappiamo che è uno dei più efficaci interventi per prevenire l'infezione nei tossicodipendenti. Le persone che vivono con l'hiv si aspettano di beneficiare degli strumenti che la scienza offre», dice Barré-Sinoussi. E continua: «dobbiamo colmare il divario che esiste tra scienza e attuazione. Dobbiamo costruire sistemi sanitari sostenibili, formare operatori sanitari professionali e raggiungere tutti i pazienti».

La scienza, le nuove tecnologie di prevenzione e le terapie antiretrovirali hanno raggiunto livelli molto buoni, nonostante non si sia ancora giunti a un vaccino. Ciò che limita la scienza nell'affrontare l'epidemia è la possibilità di accesso alla prevenzione e alla cura, ancora fortemente in balia di stigmi e discriminazioni e politiche poco lungimiranti nell'affrontare il problema e erogare i servizi. Per questo, «abbiamo urgente bisogno delle popolazioni più vulnerabili al nostro tavolo, ma allo stesso tempo di governi che, piuttosto che  criminalizzare le preferenze sessuali e i comportamenti delle persone, rendano invece questi problemi preoccupazioni di sanità pubblica» ha detto il dottor Elly Katabira, presidente della Ias.

La dottoressa Diane Havlir, co-presidente della conferenza Aids 2012 e professore di medicina presso l'università di San Francisco, in merito ha citato come buoni esempi «i programmi di cambio degli aghi che hanno salvato milioni di vite in molti paesi del mondo, la riforma del diritto del lavoro sessuale che in alcuni paesi ha ridotto l'esposizione alle infezioni, la depenalizzazione dell'omosessualità che è fortemente legata a una effettiva sensibilizzazione sulla trasmissione del virus in questa comunità». Oppure ancora, per citare l'Europa, un buon esempio di iniziativa politica è la Francia, che si è impegnata nella lotta all'hiv attraverso la creazione di una tassa sulle transazioni finanziarie per finanziare la solidarietà.
 
Attivismo e esempi virtuosi

Il presidente della Banca mondiale Jim Yong Kim, nel suo intervento del 22 luglio, ha sottolineato la stretta relazione che intercorre tra la povertà e l'incidenza dell'aids, fardello di molti paesi cosiddetti in via di sviluppo. Gli sforzi portati avanti sin d'ora hanno permesso a «più di 8 milioni di persone di intraprendere il trattamento» antiretrovirale, traguardo ottenuto anche grazie alla mobilitazione di attivisti e comunità. Sono stati movimenti come «il Taso in Uganda, l'Act Up negli Stati Uniti, il Tac in Sud Africa, il Grupo Pela Vida in Brasile, il Lawyers Collective in India, il Thai Drug Users Network che hanno creato una delle azioni di solidarietà più straordinarie che il mondo abbia mai visto. Fino a includere governi d'avanguardia come Brasile e Botswana, agenzie delle Nazioni Unite, donatori e innovativi programmi di ong, che ha portato a sforzi come "3 by 5" e la creazione del Global Fund e Pepfar».

Un impegno globale che troppo spesso si è dimostrato frammentato e slegato, mentre i limiti allo sviluppo sono al contrario interdipendenti e connessi in molteplici rapporti di causa-effetto. Un filo rosso lega aids e povertà. Ogni anno, in tutto il mondo, 150 milioni di persone si ritrovano in condizioni di povertà a causa delle spese sanitarie. Per Kim è necessario rendere sistematici gli interventi che, se non prontamente replicati e fatta norma, rischiano di essere gocce nell'oceano. Come i finanziamenti "performance-based", della Banca mondiale, che in Burundi hanno permesso di aumentare «del 65% in un anno il numero di donne incinte sieropositive che ricevono farmaci antiretrovirali per la prevenzione della trasmissione del virus tra madre e figlio». Oppure in Ruanda, dove i fondi e le competenze tecniche della WB destinati alla lotta al virus sono stati usati «per costruire un ammirato sistema di assicurazione sanitaria, le "mutuelles", e per espandere la formazione professionale secondaria, contribuendo all'investimento strategico in capitale umano».

La conferenza, durante la cerimonia di chiusura, è stata ufficialmente trasferita a Melbourne, in Australia, a luglio del 2014, a poca distanza dallo scadere degli obiettivi del millennio. Affinché l'incontro non sia una semplice dichiarazione di intenti ma una assunzione pragmatica di sistemi e prassi volti a un risultato, per il presidente della WB «abbiamo bisogno di andare oltre i confini delle istituzioni e dello sviluppo, attraverso l'apertura e l'innovazione».

Partner della formazione

ConfiniOnline fa rete! Attraverso la collaborazione con numerosi enti profit e non profit siamo in grado di rivolgere servizi di qualità a costi sostenibili, garantendo ampia visibilità a chi supporta le nostre attività. Vuoi entrare anche tu a far parte del gruppo?

Richiedi informazioni