di Andrea Aliverti
Quando i cinesi siamo noi. In Canton Ticino scendono in piazza i ferraioli, gli addetti alla posa del ferro nel settore edile: protestano contro la "mala-edilizia" importata dalla vicina Italia. «Ribassi del 35-40% sui prezzi della posa del ferro - la denuncia dell'Unia, il sindacato ticinese dei lavoratori dell'edilizia - così le aziende italiane ammazzano il settore e mettono a rischio i nostri posti di lavoro».
I "ferraioli" hanno scioperato a Bellinzona per denunciare le pratiche di dumping salariale operate sempre più spesso dalle imprese edili italiane che stanno invadendo, a suon di subappalti, il mercato della Svizzera Italiana. «Dal 2011 - spiega Dario Cadenazzi, funzionario sindacale di Unia Ticino - ditte provenienti dalla vicina Italia hanno cercato di penetrare il mercato ticinese con modi riconducibili alla mala-edilizia, salari da 8-11 euro l'ora (circa un terzo del "minimo" svizzero, ndr), paghe in euro, non pagamento dei salari, mancato riconoscimento delle qualifiche».
Il fenomeno riguarda in particolare le "notifiche di breve durata", permessi di lavoro della durata massima di tre mesi, che negli ultimi due anni sono cresciuti del 45%, per una cifra d'affari stimata in 400 milioni di euro persi dall'economia ticinese a vantaggio di quella d'oltreconfine. Padroncini, piccoli artigiani, lavoratori distaccati, che si infilano tra le maglie delle regole per fare quella che i ferraioli ticinesi definiscono apertamente come «concorrenza sleale».
Flavio Nossa, segretario provinciale della Fillea-Cgil di Varese, si schiera con i colleghi d'oltre frontiera: «La loro battaglia è la nostra battaglia. Per le regole - spiega - anche da noi ad esempio succede che le aziende dell'Est europeo impieghino personale comunitario in maniera surrettizia, facendo apparire gli operai come distaccati dalla sede principale dell'azienda pur essendo residenti in Italia. Per arginare questi fenomeni occorre la volontà di applicare controlli, perché le regole ci sono».
La concorrenza, insomma, la subiscono le stesse aziende italiane che, lavorando regolarmente e andando in cerca di commesse che durano più di tre mesi, non hanno convenienza ad acquisire appalti nel Canton Ticino. Il gioco non vale la candela, come fa notare il direttore di Ance Varese Gianpietro Ghiringhelli: «Le nostre imprese edili devono garantire alle loro maestranze la paga oraria svizzera, più alta, versando poi i contributi in Italia, più alti di quelli svizzeri. Anni fa erano molto interessate a lavorare in Ticino, ma si sono trovate di fronte un percorso fatto di diverse barriere all'accesso che le ha fatte desistere».