Razionalizzazione o tagli indiscriminati? Gli addetti del terzo settore non hanno dubbi: le conseguenze della spending review saranno la cancellazione degli spazi di partecipazione democratica e di confronto con le istituzioni, l'aumento della disgregazione sociale e dell'emarginazione di soggetti svantaggiati. Nonostante il Censis registri una certa vitalità del settore.

di Sara Garnero

La spending review non risparmia il sociale. All'ombra degli scioperi e delle manifestazioni pubbliche che i sindacati del lavoro hanno indetto per venerdì scorso, la cosiddetta razionalizzazione della spesa pubblica fa dei tagli pesantissimi anche sul terzo settore, già poco considerato dai governi precedenti ma ora come non mai prezioso per l'erogazione di servizi sociali.

Il Forum nazionale del terzo settore dichiara che in agosto verranno aboliti «tra gli altri l'Osservatorio nazionale per il volontariato, l'Osservatorio promozione sociale, il Comitato per i minori stranieri, la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie, la Commissione di indagine sulla esclusione sociale. Ciò significa eliminare le sedi di confronto tra la società civile e le istituzioni, cancellando gli spazi di partecipazione democratica di cui invece il nostro paese ha un grande bisogno, oggi più che mai, per rinsaldare la coesione sociale».

Il suo portavoce, Andrea Olivero, sottolinea come le misure adottate dal governo siano un vero e proprio attacco al sociale, «pretesto per ridurre gli spazi di democrazia e i momenti di confronto tra società e istituzioni», prosecuzione delle misure prese lo scorso febbraio, ossia l'abolizione dell'Agenzia per il terzo settore.

I provvedimenti hanno scatenato una valanga dichiarazioni da parte degli addetti. In particolare, la Federazione Scs/Cnos - Salesiani per il sociale punta il dito contro l'articolo 4 del decreto legge 95/2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2012, che «impedirebbe a tutti gli enti pubblici di dare risorse ad associazioni, comitati e fondazioni con le quali è già in atto una convenzione. In concreto, significa che queste realtà non potranno più ottenere alcun contributo per iniziative culturali, convegni o di sostegno alle proprie attività di carattere umanitario che esulano, appunto, dalla convenzione». Cioè ignorando che spesso il terzo settore finanzia le sue numerose attività mediante contributi che la pubblica amministrazione eroga a fronte di progetti realizzati per essa. Inoltre, per le cooperative sociali, le associazioni e le fondazioni che hanno contratti di fornitura di servizi con lo stato «i benefici e le agevolazioni nelle gare di appalto scompariranno, e queste ultime saranno soggette alla logica del massimo ribasso».

Monica Poletto, presidente Cdo Opere sociali, fa notare in riguardo che «esistono multiformi tipologie di rapporto (si pensi ai servizi "in accreditamento" ad esempio. O alle convezioni sottoscritte da organizzazioni di volontariato per servizi di assistenza resi sul proprio territorio) e che i servizi oggetto di tali contratti sono normalmente servizi alla persona». Senza contare poi che le procedure di affidamento particolari di cui godono le cooperative sociali sono esistenti «in virtù dell'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. In un momento in cui tante persone si trovano improvvisamente senza lavoro, le cooperative sociali si stanno dimostrando eccezionali ammortizzatori sociali».

Dichiarazioni confermate dal 1° rapporto Censis sulla cooperazione sociale in Italia, secondo cui tra il 2001 e il 2011 «le imprese cooperative hanno mostrato una vitalità molto più accentuata rispetto al sistema delle imprese nel suo complesso. A fronte di un incremento complessivo del numero di imprese italiane del 7,7%, le cooperative hanno segnato un balzo in avanti del 14,2% facendo crescere il ruolo che tale segmento riveste nello sviluppo economico e produttivo del paese», nonostante nell'ultimo periodo la crisi non abbia certo risparmiato il settore.

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