Giuseppe Debenedetto
La delibera comunale di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani deve individuare il limite quantitativo dei rifiuti prodotti, altrimenti non è valida per la Tarsu. Lo ha stabilito la sezione tributaria della Cassazione con la sentenza 9631 del 13 giugno scorso, accogliendo il ricorso di una società proprietaria di un supermercato.
Nel caso esaminato, il Comune aveva approvato un semplice elenco delle sostanze assimilabili ai rifiuti urbani, indicandole nominativamente e senza specificare i limiti quantitativi. Il comportamento dell'ente è stato censurato dalla Cassazione, che ha fissato il principio in base al quale, in tema di Tarsu, la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani presuppone la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative dei rifiuti "assimilati" da gestire tramite il servizio pubblico.
Nei fatti, il provvedimento comunale di assimilazione rende il rifiuto speciale equivalente a quello urbano sia per lo smaltimento (il produttore deve conferire il rifiuto al servizio pubblico) sia per la tassazione (le superfici dove i rifiuti assimilati si producono sono soggette alla tassa). Finora, i Comuni si sono perlopiù limitati a indicare la qualità dei rifiuti da assimilare (anche riportando l'elenco contenuto nella delibera interministeriale del 1984), senza valutare la concreta possibilità di smaltimento dei rifiuti "assimilati".
La tendenza dei Comuni ad ampliare le possibilità di tassazione delle superfici, per evidenti motivi legati al gettito del tributo, si è poi scontrata con il grado di adeguatezza del servizio da rendere alle attività produttive coinvolte - servizio che spesso i Comuni non sono riusciti a garantire - provocando le reazioni degli operatori economici: per esempio, richieste di rimborso, di riduzione o di esonero. Il criterio quantitativo impone invece di fissare il tetto massimo entro cui il contribuente si può avvalere del servizio pubblico (per esempio stabilendo il conferimento massimo espresso in chilogrammi per metri quadrati all'anno). La soglia va stabilita secondo le esigenze degli operatori e la concreta possibilità di espletare adeguatamente il servizio.
Della questione si è occupata anche l'Antitrust che, con la segnalazione AS922 del 2012, ha evidenziato che molte amministrazioni comunali (o i gestori del servizio di raccolta dei rifiuti), interpretando in maniera impropria le norme di settore, procedono a un'eccessiva assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani: si tratta di un ampliamento suscettibile di determinare rilevanti squilibri concorrenziali.
L'Autorità ha pertanto sollecitato l'adozione del decreto del ministero dell'Ambiente, previsto dall'articolo 195 del decreto legislativo 152/2006, che deve stabilire in maniera univoca i criteri per individuare quantità e qualità delle tipologie di rifiuti speciali da assimilare a quelli urbani, anche per definire l'ambito di discrezionalità delle amministrazioni comunali. D'altronde sono ormai trascorsi quasi 30 anni dalla deliberazione del comitato interministeriale del 1984, che rappresenta tuttora l'unica norma di riferimento in materia di assimilazione.