Mezzo miliardo di euro per i farmaci, una manciata di spiccioli per la prevenzione: è ora di "Turning the tide toghether".
Como, 19 luglio 2012. Turning the tide together, Invertire insieme la marea, è lo slogan scelto per la XIX Conferenza internazionale sull'Aids che si terrà a Washington dal 22 al 27 luglio. Uno slogan che la Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids fa proprio, per chiedere al nostro governo di cambiare, finalmente, le sue politiche di prevenzione delle infezioni da Hiv.
La fotografia che esce dal "Country Report" biennale appena inviato dal ministero della Salute all'UNAIDS è quella di un'unica spesa di prevenzione indirizzata alla "comunicazione", che in Italia è stata complessivamente, nel 2011, di 180 mila euro. Comunicazione destinata esclusivamente alla promozione del test Hiv nella popolazione generale. Mentre i Paesi europei stanziano cifre che vanno da centinaia di migliaia di euro a diversi milioni, per sviluppare anche programmi specifici per le popolazioni vulnerabili, in Italia semplicemente la prevenzione non si fa.
In tempi di "spendig review" pare che nessuno si renda conto che una fetta non indifferente della spesa sanitaria, circa mezzo miliardo di euro (per l'esattezza 470 milioni), se ne va ogni anno solo per i farmaci antiretrovirali, per un'infezione che può essere evitata. Un calcolo che non tiene conto dei costi sociali e umani, e neppure dei costi legati alle cure necessarie per le patologie opportunistiche che possono colpire le persone sieropositive.
Uno dei temi cardine della Conferenza di Washington sarà "Come rendere reale la rivoluzione che sta avvenendo nella prevenzione". Un impegno difficilmente trasferibile in un'Italia che non possiede né un piano strategico sull'HIV né un sistema di monitoraggio e valutazione del proprio operato. Il Piano nazionale di Prevenzione (generale, non riguarda solo l'Hiv) delega le Regioni, che per il 2012 hanno finanziato esclusivamente progetti di "educazione all'affettività e alla sessualità" nelle scuole. Oppure stanno utilizzando fondi destinati alla prevenzione per adeguare i sistemi di sorveglianza epidemiologica (con incredibile ritardo peraltro, visto che la legge che li istituisce è del 2008).
Altro tema di questa Conferenza sarà su come intervenire nei "gruppi chiave ad alta prevalenza di Hiv" per invertirne la tendenza all'infezione. La nostra situazione non è delle migliori: anche nell'ultimo Country Report l'Italia brilla per l'assenza di programmi di prevenzione destinati alle popolazioni più colpite, uomini che fanno sesso con altri uomini e lavoratrici del sesso, e per la completa assenza di strategie di promozione dell'uso del preservativo, o della riduzione di stigma e discriminazione per le persone che vivono con l'Hiv. E i riferimenti a generiche campagne per i giovani sono da ricondurre alle sporadiche iniziative delle singole Regioni. Una situazione che non ha eguali nell'Europa Occidentale.
Per questo le associazioni, che hanno contribuito alla stesura del rapporto per la parte che gli compete, hanno inviato all'UNAIDS anche una nota di accompagnamento, per segnalare la risposta inadeguata di un Paese che ormai da molti anni non ha più la diminuzione delle infezioni da Hiv tra le proprie priorità nazionali. Questo in netto contrasto con quanto dichiarato in sede ONU.
I dati di confronto con altri Paesi possono aiutare a capire meglio cosa significa avere un piano strategico: in Germania (dati tratti dai rispettivi Country Report, pubblicati in questi giorni) per la prevenzione nel 2011 si sono spesi 29 milioni di euro (17 stanziati dal ministero della Salute e 12 dagli Stati federali). Per la Spagna la spesa complessiva da parte del governo è stata di circa 15 milioni di euro, altrettanto è stato stanziato dalle Comunità autonome. In Svizzera la sola Confederazione (Cantoni e Comuni esclusi) investe ogni anno circa 10 milioni di euro.
Altra nota dolente: il ruolo delle associazioni. Se in questi 30 anni di storia anche italiana di Hiv/Aids la prevenzione è stata fatta, e pure bene, lo si deve solo alla società civile. Associazioni che hanno diffuso informazioni e strumenti contando solo sulle proprie forze, spesso povere, facendo campagne anche innovative, rivolgendosi alle popolazioni più vulnerabili, operando capillarmente perché sia la popolazione generale che le persone sieropositive potessero essere consapevoli di cosa siano le corrette pratiche sanitarie in tema di Hiv e Aids. Combattendo stigma e discriminazione, in completa solitudine.
Anche questa marea va invertita. Ora. Chiediamo da subito più risorse per le associazioni, all'interno della strategie di prevenzione, e il loro riconoscimento come partner privilegiati di intervento. Nei Paesi europei il ruolo delle associazioni è riconosciuto e valorizzato, non pretendendo da loro l'apporto di conoscenze o peggio il sostegno politico, ma quando si tratta di essere operativi (con la Spagna che nel 2011 stanzia per la community quasi 4 milioni di euro, l'Olanda che ne versa annualmente circa 10, e la Germania che ci tiene a specificare che "la mutua e coordinata collaborazione di agenzie governative e non governative ha fatto della prevenzione dell'Hiv/Aids una storia di successo"). La prevenzione non è solo questione economica, ma soprattutto strategica.
Invertiamo la marea. Insieme.
Nota: i Country Report 2012 in via di pubblicazione in questi giorni sono consultabili nel sito UNAIDS ai seguenti indirizzi:
http://www.unaids.org/en/dataanalysis/monitoringcountryprogress/progressreports/2012countries
http://www.unaids.org/en/dataanalysis/monitoringcountryprogress/ncpireports/2012countries
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