Quello delle buone prassi in tema di welfare aziendale è sicuramente un argomento attuale e dibattuto: ne è un esempio il recente evento pubblico, giunto alla quinta edizione, promosso dalla Regione Lombardia e da ALTIS (Alta Scuola di Impresa e Società dell'Università Cattolica del Sacro Cuore Milano) per la premiazione di realtà organizzative, nazionali e internazionali, che hanno implementato i migliori programmi di work-life balance (per approfondire: La conciliazione famiglia-lavoro in Lombardia e nel mondo - Secondo Welfare, 31 maggio 2012).
Ma cosa s'intende per ?buone prassi'?
Sara Mazzucchelli nella ricerca "Conciliazione famiglia e lavoro. Buone pratiche di welfare aziendale" pubblicata dall'Osservatorio Nazionale sulla famiglia nel dicembre 2011 (qui per una breve presentazione) definisce le buone prassi come un insieme di interventi:
finalizzati a rispondere a un bisogno complesso, socialmente rilevante;
tesi alla realizzazione di un benessere relazionale;
volti alla generazione di capitale sociale;
in grado di trattare le relazioni familiari in una prospettiva di empowerment;
promossi da una realtà di soggetti in partnership, in grado di includere, a livello progettuale, realizzativo e valutativo, tutti i soggetti, erogatori e fruitori.
Secondo la ricerca sopracitata le organizzazioni spaziano da misure più classiche che consentono la gestione degli orari di lavoro come il part-time e la flessibilità, ad agevolazioni quali il nido aziendale, fino a contemplare iniziative di supporto personalizzato: coatching, accompagnamento e formazione.
Tuttavia il supporto aziendale ritenuto più efficace è l'atteggiamento di disponibilità a negoziare le richieste portate dai lavoratori e la possibilità di individuare una funzione organizzativa di riferimento che svolga un ruolo di accoglienza. Questi elementi vengono valorizzati se inscritti in una più ampia cultura organizzativa che pone attenzione al benessere e alla soddisfazione dei lavoratori.
Investire in misure di conciliazione dovrebbe essere considerata un'azione "win-win" non soltanto a favore del lavoratore, bensì come "un'opportunità in grado di generare vantaggi organizzativi" (Mazzucchelli, 2011) e massimizzare i risultati aziendali.
A sostegno di quest'ultima tesi citiamo una ricerca condotta, dallo IESE Business School, in ventiquattro Paesi del mondo sul grado di "responsabilità familiare" delle politiche messe in atto dalle aziende: "il risultato è che in quelle dove la conciliazione è attuata con successo l'impegno dei dipendenti è tre volte superiore rispetto a quelle dove non esiste alcuna pratica di questo tipo, la soddisfazione sette volte maggiore e la produttività aumenta mediamente del 19%." (La conciliazione di famiglia, lavoro e festa: alcune buone pratiche - Avvenire, 30 maggio 2012)
Molti degli elementi segnalati dalla ricerca di Mazzucchelli sono rintracciabili nell'intervista, che vi proponiamo di seguito, a Elisa Giuseppin e Arianna Pasquali della cooperativa sociale FAI di Pordenone.
FAI, che dal 1985 si occupa di servizi socio sanitari e educativi, ha avviato il progetto Family Friendly "Fai la cosa giusta!", finanziato dalla Regione Autonoma FVG e dal Fondo Sociale Europeo.
L'iniziativa è finalizzata a sostenere i lavoratori nelle loro esperienze di conciliazione tra lavoro e vita privata. A tal proposito la cooperativa ha realizzato uno sportello di accompagnamento alla conciliazione per i propri soci lavoratori.
Riportiamo di seguito un estratto dell'intervista.
Come è nato e che cosa prevede il progetto Family Friendly "Fai la cosa giusta!"?
Il progetto, nato alla fine del 2010 grazie ad un bando regionale e finanziato con fondi europei, prevede uno sportello di accompagnamento alla conciliazione per i soci lavoratori della nostra cooperativa, finalizzato a sperimentare metodi di accompagnamento e informazione.
Grazie al progetto "Fai la cosa giusta!" abbiamo attivato uno sportello di riferimento, interno alla cooperativa e aperto due volte a settimana, che si occupa di tutte le problematiche di conciliazione e di pari opportunità.
Lo sportello dà ai soci la possibilità di consultare una figura di sostegno per avere chiarimenti di tipo normativo, contrattuale e inerenti l'offerta di servizi sul territorio per maternità, genitorialità, prima infanzia. Lo sportello è in sintesi un luogo di informazione, un servizio a disposizione di tutti.
Come avete informato e coinvolto la base sociale su questo progetto?
Il coinvolgimento dei soci è avvenuto in un secondo momento, a progetto approvato.
Inizialmente abbiamo previsto la somministrazione di una serie di questionari per indagare i bisogni delle persone in tema di conciliazione. Questo lavoro di ricognizione è stato accolto positivamente dalla base sociale, c'è stata infatti una buona rispondenza. Hanno compilato il questionario più di 200 soci su 300 totali. Direi che statisticamente è un gran risultato. Questa fase di ricerca è stata propedeutica all'avvio dello sportello.
In particolare all'inizio abbiamo attivato un processo di informazione capillare ai soci attraverso una pluralità di canali comunicativi (opuscoli, circolari e giornalino interno, incontri e riunioni nelle strutture, ?).
L'attività di comunicazione aveva come obiettivo quello di illustrare il progetto e allargare il concetto di conciliazione; per molti soci infatti la conciliazione era un tema strettamente correlato alla maternità e chi non stava vivendo quella particolare situazione si sentiva escluso.
Sulla base di questo riscontro abbiamo deciso di investire diverse energie per spiegare ai colleghi e alle colleghe che il progetto comprendeva diverse esigenze familiari, non solo quelle legate a chi ha figli nella fascia 0 - 3 anni.
Rispetto a come l'avevamo pensato il progetto si è evoluto e si sta evolvendo, si stanno aprendo canali inaspettati e innovativi a livello di progettazione. Il riscontro che abbiamo è molto positivo, c'è stata una buona risposta, il progetto è stato accolto bene, i soci ne hanno compreso il senso.
Quali tipologie di richieste ricevete?
Inizialmente le richieste avanzate riguardavano le donne al rientro dalla maternità. Quando poi si è compreso che erano contemplate tutte le esigenze familiari, tutti i soci si sono sentiti più coinvolti.
Infatti, essendo un progetto sperimentale e innovativo si è cercato anche di modularlo in base alle esigenze dei soci: c'era, ad esempio, chi aveva bisogno di informazioni sugli asili, consultori, agevolazioni, corsi, ecc.
Inoltre abbiamo avuto la richiesta di passaggio da full a part-time da parte di un alcune socie lavoratrici, mentre alcune socie nonne hanno contattato lo sportello per richiedere agevolazioni nei confronti di nipoti neonati. In cooperativa prevale il genere femminile e sono presenti varie fasce d'età: quella delle nonne è corposa ed è un target a cui non avevamo pensato all'inizio del progetto.
Ci sono state anche richieste legate, ad esempio, alla necessità di dedicarsi all'assistenza dei genitori anziani in situazioni di difficoltà?
Anche questo è un aspetto aperto. Ci siamo rese conto che è banale ridurre la conciliazione alla genitorialità o ai problemi legati alla maternità.
La conciliazione non è solo questo, risulta infatti essere un tutto tondo attorno alla famiglia. Investe tutto il ciclo di vita, in particolare se pensiamo ad alcune socie, schiacciate tra l'essere nonna, il continuare a lavorare, l'avere figli con un lavoro precario e, in taluni casi, un genitore non-autosufficiente a carico.
Questa conciliazione nel senso più ampio del termine, così come l' abbiamo appena descritta, è una via che vogliamo percorrere anche con delle progettazioni future. È un canale aperto, in discussione.
Il problema, pensando al domani, sarà la ricerca di ulteriori canali di sostenibilità. Dovremmo pensare a nuove progettazioni e cercare bandi ad hoc.
Quali sono stati gli apprendimenti organizzativi rispetto a questa esperienza?
Prima di concedere agevolazioni a un socio è necessario considerare e valutare altre situazioni di criticità che si trovano all'interno della cooperativa e in particolare del gruppo di lavoro. Possono esserci, ad esempio, persone che hanno lo stesso tipo di urgenza ma legata a seri problemi di salute o a problemi economici. È emerso spesso questo problema: se tu concili da un lato le esigenze tempo famiglia-lavoro di una persona, dall'altro hai poi il problema di gestire il gruppo. Quindi, insieme con le varie referenti esaminiamo il valore, il peso di queste richieste per capire se sono possibili.
La figura del coordinatore dello sportello si trova in mezzo, cerca di mettere in dialogo e conciliare le esigenze del socio con quelle della cooperativa.
E' fondamentale lavorare in sinergia. Lo sportello accoglie le richieste dei lavoratori, le valuta sulla base delle possibilità della cooperativa, dà una risposta e ne spiega le motivazioni. Conciliare significa mettere insieme le esigenze delle due parti senza andare a discapito di altri.
È spesso emerso questo doppio punto di vista: è giusto accogliere e conciliare però ci vuole il giusto mezzo nell'accontentare le richieste di conciliazione che devono avere - in base alla nostra esperienza - una temporalità. Devono iniziare e finire. Non possono essere benefici acquisiti in modo permanente perché, a lungo andare, vanno a incidere sul gruppo di lavoro e sull'equipe.
Alla luce della testimonianza presentata proviamo a riassumere, dal nostro punto di vista, le ?buone prassi' in tema conciliazione:
la presenza di un investimento di risorse organizzative;
l'individuazione di un referente/coordinatore del progetto;
l'attuazione di un percorso volto ad ascoltare le esigenze dei lavoratori;
la cura della comunicazione e della presentazione del progetto;
l'attenzione e la valorizzazione dei risultati intermedi;
la presa in carico della richiesta, indipendentemente dal suo esito;
la disponibilità al dialogo e alla messa in discussione da parte dell'organizzazione;
la transitorietà delle richieste
In generale conciliare è faticoso (ma possibile) perché frutto di un lavoro costante di valutazione, di negoziazione e di rete.