L'associazione dei partigiani: "Il 25 aprile non si tocca".

La Cgil: una mazzata sul turismo

Lavorare di più per uscire dalla crisi e far aumentare il Pil, magari accorpando anche le feste "comandate". È questa la ricetta del governo rilanciata dal sottosegretario all'Economia, Gianfranco Polillo. Allo studio c'è un intervento a breve per accorpare le festività.

«Mi auguro - spiega Polillo - che il problema venga preso di petto» perchè aumentare le ore di lavoro degli italiani, magari accorpando anche le festività «è una delle chiavi per risolvere la crisi». «Sono contento di essere stato seguito in questo indirizzo - dice il sottosegretario - l'importante ora è discuterne». Anche perchè «c'è anche, ad esempio, un problema di rapporti con la Chiesa». Ma certo è che nella sua "ricetta" le festività accorpate non dovrebbero essere più pagate facendo ridurre anche il costo del lavoro. Polillo spiega di non sapere quale sarà la via legislativa scelta (se un decreto ad hoc, un emendamento alla spending review, ndr) né è ancora noto se se ne discuterà già venerdì prossimo in Cdm. Ma una cosa per Polillo è certa: «In Italia il rapporto tempo (libero)-lavoro è troppo basso. Ad esempio in Alenia è stato firmato un accordo con i sindacati per lavorare 7 giorni a settimana con i turni per un totale utilizzo degli impianti. All'estero già funziona così. Per esempio sono andato il Primo Maggio a Londra e l'avevano già celebrato la domenica precedente».

E gli italiani? «Noi lavoriamo 9 mesi l'anno - ribadisce Polillo - guardate il contratto dei metalmeccanici: per i lavoratori anziani sono previste 5 settimane di ferie, 15 giorni di permessi retribuiti obbligatori, 12 festività civili e religiose e altri 10 giorni tra scioperi, malattie, assenteismo. E se guardiamo i numeri dell'Istat cioè il rapporto tra numero di ore lavorate e numero di addetti il risultato è lo stesso. Inoltre dopo la mia prima proposta un grande gruppo metalmeccanico mi ha inviato un brogliaccio con ferie e giorni lavorati e i dati coincidevano». Quindi l'aumento dei giorni di lavoro «è la premessa per aumentare il margine operativo lordo, i profitti e far ripartire gli investimenti. Quelli che realizziamo quest'anno sono -10% sul 1997. E il mol dell'industria italiana, dice Bankitalia, è regredito al 1995. Fatto 100 il tenore delle industrie italiane il 40% che investe su estero si è ristrutturato, le aziende che marciano border line e che si sta riconvertendo è il 40%, il 20-30% sono aziende fuori mercato. Se aumentiamo il mol delle aziende che esportano c'è un incentivo forte alla ripresa degli investimenti». Ma c'è anche il problema dei consumi: «ogni anno per mantenere un livello di consumi bassissimi e orrendi abbiamo bisogno di prestiti esteri di 50 miliardi di euro. Cioè un livello di consumi insostenibile rispetto alla produzione. La conseguenza è che il debito pubblico che era detenuto all'80% su Italia e 20% all'estero nel 1997 oggi è per il 40% all'estero. Cioè la quota estera è raddoppiata e il paese è più vulnerabile». Ma le feste 'accorpatè dovrebbero essere pagate comunque? «No - replica - all'inizio no. Bisogna lavorare di più e meglio mantenendo inalterato il costo del lavoro. Se ci saranno margini si potranno pagare gli straordinari come in Alenia».

Arriva però l'altolà di Anpi e sindacati. «Il 25 aprile, l'1 maggio e il 2 giugno non si toccano. Sono i valori su cui si fonda la Repubblica», dice l'Associazione nazionale partigiani. «Non ci si dica che non ci sono altri strumenti per incrementare la produttività e far crescere il Pil», spiega l'Anpi in una nota. Per l'associazione «ci sono provvedimenti in corso di esame, da tempo preannunciati, di cui si può accelerare l'iter; e ce ne sono altri, da molti invocati (la patrimoniale, per fare un esempio) che a torto si finge di ritenere improponibili. Dobbiamo essere estremamente chiari: non abbiamo - ovviamente - obiezioni di fronte ai sacrifici che possono essere chiesti ai cittadini in una fase difficile per il Paese, ma che si debba rinunciare alla storia, a quelli che sono i fondamenti comuni del nostro vivere civile, ci sembra davvero troppo. Ci sono festività che nascono da consuetudini o semplici abitudini, che forse possono consentire qualche operazione. Altre, come quelle citate, rappresentano il nostro passato migliore, i valori su cui si fonda la nostra Repubblica: sono, in una parola, la nostra storia. E non vanno toccate. Si faccia quello che occorre, per salvare il Paese da una crisi che non ci dà tregua. Ma si lasci al Paese la sua storia, si conservino i suoi valori, quelli a cui la stragrande maggioranza dei cittadini continua a richiamarsi. Questa è la richiesta che formuliamo alle istituzioni pubbliche e in particolare al governo». E «alle nostre organizzazioni rivolgiamo l'invito ad una mobilitazione immediata e diffusa, assumendo ogni possibile iniziativa, coinvolgendo i parlamentari e le istituzioni territorialmente competenti, sollecitando l'adesione e l'impegno dei cittadini. Il gravissimo proposito che è stato enunciato dalla stampa, se corrispondente ai reali intenti del governo, dev'essere sventato e respinto, prima di tutto dalla coscienza civile e democratica del popolo italiano», conclude l'Anpi.

L'accorpamento delle festività «non aumenterà il Pil, ma sarà la "mazzataa" finale per l'economia del turismo, già adesso in crisi», spiega Cristian Sesena, segretario nazionale della Filcams Cgil e responsabile del turismo del sindacato. «Come sindacato, siamo perplessi e contrari per una serie diragioni. Innanzitutto, per ragioni di natura valoriale. Stiamo parlando di festività laiche e religiose che verrebbero accorpate diluendo così il valore sociale, culturale e storico per il Paese. Poi, se l'obiettivo è quello di aumentare le ore lavorate e così di conseguenza il Pil, anche qui restiamo perplessi, perché si va a diminuire quello che è l'apporto del turismo al prodotto interno lordo». Secondo Sesena, «già oggi il turismo è in crisi, resiste solo il ?mordi e fuggi' e cioè il week-end con l'allungo di qualche festività». «Se si accorperanno le festività - avverte - si darà un'ulteriore mazzata a questo settore, che non viene mai valorizzato per la crescita dell'economia del Paese». A rincarare la dose è Pierangelo Raineri, segretario generale della Fisascat Cisl: «È una misura -spiega a Labitalia- che rischia di bloccare i flussi turistici che muovono tante attività, e di rallentare quindi l'industria turistica. Una norma che avrà effetti su un settore come quello del turismo che già di suo ha tanti problemi e difficoltà. Invece che aumentare il Pil, questa norma rischia di ridurre l'apporto dato dal turismo -sottolinea- che rappresenta il 12% del prodotto interno lordo». «Il problema in Italia-conclude- oggi è costituito dal reddito dei lavoratori dipendenti che viene 'mangiato' dalla tasse. Per questo, il governo dovrebbe intervenire sulla leva fiscale.

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