«La politica», affermava in maniera sferzante Boris Pasternak, «non mi dice niente». Infatti, aggiungeva il grande poeta e scrittore russo, «non amo le persone che sono insensibili alla verità». Queste nette e ruvide parole dell'autore del Dottor ?ivago descrivono bene la drammatica situazione che da più di un anno insanguina la Siria e rischia di destabilizzare il già precario (dis)ordine del Medio Oriente.

Dal momento in cui la maggioranza sunnita - sull'impeto ideale della «primavera araba» e sul cinico interesse anti-iraniano di alcune monarchie del Golfo - ha impugnato le armi nel tentativo di detronizzare il Presidente Bashar al-Assad (e la minoranza alawita su cui fonda il suo regime), è iniziata una spirale di violenza, repressione e terrore che sta avviluppando l'intero Paese. Dopo Hula, Tremseh e Aleppo, gli scontri si sono ormai spinti fino a Damasco, tanto che anche la Croce Rossa Internazionale ha riconosciuto come il conflitto abbia assunto i tragici contorni di una vera e propria guerra civile.

In questi lunghi mesi, sulla pelle del popolo siriano si sta combattendo una battaglia politica e comunicativa - per dirla con Pasternak - insensibile alla verità. Da un lato, in quanto inestricabilmente vischiosa e torbida, la guerra civile tra lealisti e ribelli offre un classico esempio di utilizzo impudente della disinformazione e della propaganda, in cui purtroppo finiscono alcune volte intrappolati anche i media occidentali. Dal regime di Damasco e dall'opposizione armata giungono notizie spesso contraddittorie, quando non volutamente distorte, che certamente non aiutano a conoscere i contorni del dramma siriano. Un dramma che conta già più di 16mila vittime dall'inizio dei combattimenti.

Dall'altro lato, invece, è lo scontro politico in corso nel sistema internazionale sulla possibile soluzione alla guerra civile a mostrare l'indifferenza alla verità della politica. Al di là delle tante dichiarazioni ufficiali dei diplomatici occidentali, nessuno vuole realmente "sporcarsi le mani" in Siria, né tantomeno sono limpide e condivise le mosse da fare nei confronti del governo di Damasco (il destino del piano Annan ne è un chiaro esempio). Seppur oggi sia il più evidente, il cinismo di Putin non è affatto isolato all'interno della comunità internazionale. In quest'ultima infatti - come ha sottolineato Franco Venturini sul Corriere della sera - esiste una doppia morale, che spinge la totalità degli attori internazionali a lanciare proclami e minacce, lavandosi al tempo stesso le mani dalla pericolosa situazione che si è generata nel Paese.

L'interesse nazionale dei vari Stati, i calcoli strategici di Arabia Saudita e Qatar, le molte incognite sui futuri equilibri della delicata regione geopolitica mediorientale sembrano pertanto tristemente condannare la popolazione siriana - e in essa l'antica minoranza cristiana - a un presente e un futuro di sangue e violenza. Anche se il destino di Bashar al-Assad sembra ormai segnato (dopo tutto ciò che è successo, infatti, una soluzione di compromesso risulta sempre più improbabile), è assai difficile ipotizzare quando il regime possa definitivamente cadere oppure -forse, con meno probabilità - nuovamente riconsolidarsi. E il tempo che intercorrerà fino a quel momento potrebbe essere ancora lungo.

Luca G. Castellin

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