Il caso della trasferta a Pechino di un'importante serie di opere di musei statali e chiese fiorentine pone all'attenzione dei cittadini, delle associazioni di tutela, come Italia Nostra, e dello stesso Ministero Beni Culturali, la questione dei rischi di prestiti effimeri e inutili cui viene sottoposto il nostro comune patrimonio storico e artistico. Il ministro Lorenzo Ornaghi ha addirittura affermato (come riportato da "Il Corriere della Sera" del 7 luglio) che "bisogna lanciare operazioni di questo genere, anche correndo qualche rischio, altrimenti si paralizza la diffusione della cultura italiana oltre i confini nazionali": una affermazione illegittima, incostituzionale e irricevibile di cui attendiamo la smentita.

Anche ammettendo che organizzare scambi di mostre tra Stati abbia ancora un qualche valore, bisognerebbe, almeno, concepire anche per questo genere di mostre diplomatico/commercial/propagandistiche un vero progetto scientifico (con l'intento di aumentare la conoscenza, trattando i visitatori come esseri pensanti e non come barbari da stupire) e con un ?rischio zero' per le opere. Lo impone l'articolo 67 del Codice dei Beni culturali (che, in assenza di queste caratteristiche, vieta che le opere varchino i confini della Repubblica), e lo imporrebbe la deontologia dei curatori e dei soprintendenti. E queste mostre non dovrebbero, come avviene sempre più spesso e come scriveva Antonio Cederna per analoghe iniziative nel 1956, risultare  «un'antologia abborracciata, forse dettata unicamente dall'arrendevolezza di alcuni soprintendenti ? una carrettata bassamente propagandistica, una scelta affrettata e fortuita, conforme appunto alla inanità degli scopi confessati ?».

In primo luogo si dovrebbe aver cura della tutela delle opere: e, invece, si mandano in lunghi e perigliosi viaggi pitture fragilissime, che non dovrebbero viaggiare per nessun motivo, e sculture in marmo che, come tutti sanno, sono più fragili del vetro.

Vogliamo davvero portare all'estero un'immagine positiva del nostro Paese? Organizziamo mostre di artisti italiani contemporanei: e possibilmente giovani. Finanziamo film di grandi registi che raccontino l'Italia di oggi (come quelli meravigliosi di Folco Quilici, sull'Italia vista dal cielo, degli anni sessanta), riproduciamo perfettamente a Pechino qualcuno dei nostri siti monumentali (una Cappella degli Scrovegni in scala uno a uno sarebbe del tutto accettabile alla cultura cinese e  sono oggi disponibili tecnologie di riproduzione eccezionali). Insomma, qualunque cosa che non fotografi un'Italia convinta di avere il meglio della propria storia dietro di sé, ridotta a spogliarsi del proprio patrimonio e a far sfilare i propri capolavori, in catene, nelle capitali dei vecchi e nuovi padroni del mondo.

Queste mostre sono anche uno spreco da tagliare: schiere di funzionari del MiBAC accompagnano le opere avanti e indietro spesso al solo scopo di farsi una vacanza in paesi lontani; i trasporti e le assicurazioni raggiungono cifre vertiginose; i costosi cataloghi illustrati ripetono inutili banalità e studi più volte rimasticati.

L'opinione pubblica ignora le conseguenze di queste imprese: può dirci il MiBAC quante opere vengono prestate con la loro autorizzazione ogni anno? Quali e quante opere sono tornate danneggiate ? Quale è stato il "ritorno" in termini economici e di prestigio culturale?

Attendiamo dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali riscontri precisi a queste richieste.

Noi difendiamo i musei che subiscono tagli e chiusure in tutto il Paese; ma che, per le mostre, vengono usati come bancomat e spogliati dei loro simboli identitari. Si stroncano le istituzioni permanenti, che producono coesione sociale e educazione alla cultura e alla creatività, e si privilegiano gli eventi effimeri che producono nei cittadini una devastante diseducazione ai valori duraturi: mostre, notti bianche, feste della moda, cene davanti alle opere d'arte in cambio di pochi spiccioli. Meglio sarebbe seguire l'esempio del British Museum che presta opere significative ai musei di provincia per aiutarli a sopravvivere. Una politica culturale praticata con successo anche dagli Uffizi in tempi recenti con il progetto "La città degli Uffizi".

Il patrimonio storico e artistico italiano è diffuso e fuso all'ambiente e va tutelato, conosciuto e comunicato nella sua dimensione organica e continua. È inaccettabile ogni politica culturale che si concentri sui cosiddetti capolavori "assoluti" (cioè, letteralmente, "sciolti": da ogni rete di rapporti significanti) per espiantarli e forzarli in percorsi espositivi dal valore conoscitivo nullo. In altre parole, in Italia gli eventi stanno uccidendo i monumenti: e occorre, dunque, una drastica inversione di rotta. Nella stragrande maggioranza, le mostre di arte antica sono pure operazioni di marketing che strumentalizzano le opere, ignorano la ricerca e promuovono una ricezione passiva calcata sul modello televisivo.

Italia Nostra chiede con urgenza una severa moratoria per le mostre; accompagnata da una  discussione aperta e dall'adozione di un codice etico.

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