Cronista e direttore de L'Alto Adige condannati a quattro mesi di reclusione per avere riferito il contenuto di un documento riservato della polizia.
"Questa condanna spinge il giornalista all'autocensura, lo costringe a pensarci più di una volta prima di pubblicare una qualsiasi notizia, lo spinge a chiedersi se è proprio necessario". Così Orfeo Donatini, cronista del quotidiano Alto Adige, esprime il suo stato d'animo dopo la sentenza con la quale è stato condannato in primo grado a quattro mesi di reclusione e al pagamento di una pena pecuniaria dal valore di 15 mila euro insieme al suo direttore editoriale Tiziano Marson, per una notizia pubblicata quattro anni fa.
La vicenda giudiziaria è cominciata nella primavera del 2008 e ha lasciato interdetto il mondo della stampa. A Donatini è stato contestato di aver usato quale fonte un documento riservato della Polizia. La storia di Marson e di Donatini è veramente sorprendente. "Ad aprile del 2008 - racconta Donatini -, un collega dell'Espresso, Paolo Tessadri, entrò in possesso di un documento riservato della Digos. Parlava di raduni neofascisti in Alto Adige e attestava che ad essi avrebbe partecipato, in qualità di relatore, Sven Knoll, un consigliere provinciale di Bolzano membro della SuedTiroler Freiheit". Il documento riferisce accertamenti delle forze dell'ordine sulla sua possibile vicinanza ad ambienti di estrema destra. La notizia fu pubblicata da L'Espresso e successivamente dal quotidiano Alto Adige, testate appartenenti allo stesso gruppo editoriale.
"Dopo la pubblicazione dell'articolo dell'Alto Adige - prosegue Donatini - "ci arrivò la querela per diffamazione a mezzo stampa. E' singolare che prima non ci sia stata chiesta alcuna rettifica. Questo è uno degli aspetti più sorprendenti di tutta la storia". Come ha sottolineato la Federazione Nazionale della Stampa in un comunicato, "la tempestiva pubblicazione delle smentite, delle risposte e delle rettifiche, come è previsto dall'art. 8 della legge sulla stampa, dovrebbe essere sufficiente, dovrebbe impedire qualsiasi azione di carattere penale o civile".
La vicenda giudiziaria, dunque, cominciò così. Ci fu un processo di primo grado e una sentenza di assoluzione da ogni accusa per il redattore e il direttore della testata. Ma il querelante, Sven Knoll, fece ricorso in Cassazione, e la Cassazione annullò l'assoluzione e disse di ripetere il processo, per una questione di verità putativa. Il processo fu ripetuto e così siamo arrivati a questa condanna di primo grado. "Le motivazioni della sentenza ancora non sono note. Se confermeranno che la condanna è scattata per un presunto uso scorretto di un documento della Digos, ciò rappresenterebbe la fine del mestiere di giornalista", spiega Fabrizio Franchi, Presidente dell'Ordine dei giornalisti del Trentino-Alto Adige.
"Il giudice potrebbe essere, infatti, entrato nel merito dell'utilizzo di quel documento che, sì è riservato, ma è pur sempre di pubblico interesse", prosegue Franchi. "Questa sentenza rappresenta un precedente per l'intero mondo del giornalismo italiano perché - commenta Orfeo Donatini - se si lascia che sia un giudice a decidere, di volta in volta, quali fonti possiamo utilizzare e quali no, non sarà più possibile lavorare in modo corretto".
*tratto da Ossigeno per l'informazione