Dal cappotto al frigo: il nuovo boom delle riparazioni. Gli elettrodomestici sono la new entry del riuso: i clienti sono disposti a spendere di più. Si fa per necessità o scelta: oltre alla difficoltà economica incide una diversa coscienza ecologista.

di PAOLO GRISERI

DI FRONTE alla crisi, l'Italia corre ai ripari. Rammenda, rattoppa, riusa, crea gruppi di incontro. Segue un'idea nata ad Amsterdam e ormai diffusa in tutta Europa. Il recupero di ciò che si ritiene erroneamente inutile farebbe risparmiare agli italiani 11 miliardi all'anno, più della spending review. Ripartire da ciò che è stato rifiutato per fare economia?

Si riusa tutto, sempre di più. Come Pinocchio che, spinto dalla fame, si accontentò anche di mangiare il torsolo della mela. Giuliano Andreucci è il responsabile di Zyp, una sessantina di negozi, soprattutto a Roma e provincia, che ripara abiti. "Ultimamente il nostro fatturato è in aumento - rivela - e naturalmente si adatta alle caratteristiche dei diversi quartieri". Se nelle zone della Roma povera, come il Quadraro, "si riparano i cappotti della nonna", a Prati "si fa l'orlo ai capi pret-à-porter". Ma prima della crisi l'orlo si faceva al Quadraro e a Prati si andava dal sarto a comperare il vestito su misura.

Riparare il cappotto della nonna può addirittura diventare trendy, basta vendere bene il servizio, la crisi aguzza l'ingegno. Cristina Righetti, sarta torinese, ha aperto un sito internet per quelle che ha definito "riparazioni d'autore, vere e proprie ristrutturazioni" dei vecchi vestiti. "È una tendenza che si va diffondendo, soprattutto per gli abiti da cerimonia", racconta svelando qualche segreto: "Molti clienti
vengono a proporci piccoli aggiustamenti per abiti che avevano comperato magari dieci anni fa per un matrimonio. Se non si fa parte della prima cerchia dei parenti, quelli che sono praticamente obbligati ad acquistare il vestito nuovo, basta aggiungere un tocco originale a quello vecchio. Con poca spesa si fa bella figura e non se ne accorge nessuno". Non è strano, nella città dell'auto, il ricorso al restyling.

Se libri, mobili e vestiti sono i settori merceologici tradizionali per il riuso, quella degli elettromestici è certamente una new entry. Lorenzo Bellachioma, fondatore dell'associazione riparatori elettrodomestici (Are) spiega che "il cambio di mentalità non si vede tanto dai fatturati dei riparatori quanto dalle scelte dei clienti". I riparatori subiscono la crisi come i venditori del prodotto nuovo ma "i clienti sono disposti a spendere molto più di prima per aggiustare il vecchio frigorifero". Normalmente, metà delle riparazioni vengono fatte al momento in cui il cliente entra in negozio. Per l'altra metà è necessario un preventivo: "Fino allo scorso anno - racconta Bellachioma - solo un cliente su venti accettava il preventivo, gli altri rinunciavano e comperavano un prodotto nuovo. Oggi si ripara di più anche accettando di spendere 250 euro per un elettrodomestico che ne vale 400".

Non si ripara solo per necessità, anche per scelta. Soprattutto all'estero. I "café reparation", nati ad Amsterdam e diffusi in molti paesi d'Europa sono punti di incontro dove ci si scambia informazioni sulla riparazione e dove ci si aiuta, gratuitamente, a rimettere in pista gli oggetti fino a ieri considerati inservibili. "È la dimostrazione che la cultura del riuso si va diffondendo. In altre forme capita anche da noi", spiega Guido Viale, autore del libro "La civiltà del riuso" (Laterza). Viale snocciola l'elenco dei mercatini, dei luoghi di scambio e baratto diffusi in Italia: "Fino a qualche tempo fa erano luoghi nei quali si creava una singolare commistione sociale tra il popolo snob degli amanti del vintage e gli immigrati stranieri in cerca di risparmio". Ora la crisi e una diversa coscienza ecologica spingono un po' tutti a frequentare gli spazi del riciclo. Ma solo in alcune città (a Torino con la cooperativa "Il triciclo", a Modena con il centro raccolta "Tric & Trac") vicino alle isole ecologiche comunali sorgono spazi dedicati al riuso. Il sistema funziona se nel centro modenese un terzo di ciò che entra come rifiuto viene riacquistato come oggetto funzionante. "Purtroppo - osserva Viale - fino a quando una legge non obbligherà le amministrazioni a creare spazi simili in tutte le città, questi esempi rimarranno casi isolati".

L'unica esperienza difficile da imporre per legge è quella del cuore, del sentimento. La palma dell'originalità va così a Maddalena Vantaggi, creatrice, insieme a due colleghe dell'università di Venezia, del progetto "Rifiuti con affetto": "Ci sono cose che dispiace buttare via", ha detto Vantaggi ai ricercatori del ministero dell'ambiente che hanno realizzato il "Rapporto sul riutilizzo 2011". Perché gettare nell'immondizia ciò che non ci serve più ma è stato per lungo tempo parte della nostra quotidianità: "Abbiamo creato un cassonetto-vetrina - racconta Vantaggi - in modo che chiunque possa aprire e prendere un oggetto o lasciarne a sua volta uno. Finora l'esperimento ha funzionato". In tempi di crisi, non si getta certo alle ortiche un sentimento.

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