di Riccardo Noury
Ko Aye Aung era stato arrestato nel 1998 e condannato a 59 anni di carcere per aver distribuito volantini e organizzato manifestazioni studentesche pacifiche.
Khun Kawrio (nella foto), attivista della minoranza kayan, era stato condannato a 37 anni di carcere, nel 2008, per aver chiesto in forma pacifica, scrivendo messaggi sui palloncini e sulle barchette di carta, il rispetto dei diritti umani della popolazione kayan e aver protestato per la mancata consultazione di questo gruppo nella stesura della nuova costituzione del paese.
Ko Aye Aung e Khun Kawrio sono due degli oltre 20 prigionieri politici e di coscienza tornati in libertà il 3 luglio per "motivi umanitari". Fanno parte di un più ampio gruppo di 80 prigionieri, tra cui 34 stranieri e 46 birmani, molti dei quali appartenenti al Fronte democratico di tutti gli studenti birmani.
Secondo quanto riportato dal quotidiano filogovernativo "La nuova luce di Myanmar", i 46 prigionieri locali sono stati rilasciati "in vista dell'obiettivo di assicurare la stabilità del paese e rendere permanenti la pace e la riconciliazione nazionale".
Nel fine settimana, tuttavia, c'è stata una nuova retata di attivisti, segno che la pace, la riconciliazione e il rispetto dei diritti umani sono ancora obiettivi lontani.
Comunque, nell'ultimo anno e mezzo, attraverso successive amnistie, le carceri di Myanmar si sono parecchio svuotate. I prigionieri politici e di coscienza tornati in libertà sono oltre 670 ma probabilmente diverse centinaia rimangono dentro. Amnesty International continua a inviare appelli al governo birmano chiedendo che siano rilasciati.
Uno di loro è Phyo Wai Aung, un ingegnere di 32 anni condannato a morte con l'accusa di aver preso parte a un attentato allo stadio X20 di Yangon il 15 aprile 2010, durante la Festa dell'acqua, in cui erano morte 10 persone e altre 168 erano rimaste ferite.
Phyo Wai Aung si è sempre dichiarato estraneo a quell'orribile attentato. Ha confessato sotto tortura. Durante gli interrogatori svolti nel periodo di detenzione preventiva, è stato privato del sonno, tenuto per giorni con le mani legate dietro la schiena, preso a bastonate in testa, costretto a camminare in ginocchio su piccole pietre taglienti. I suoi aguzzini gli hanno anche ustionato i genitali.
In quei mesi del 2010, a Phyo Wai Aung è venuto un tumore al fegato. Non lo hanno preso in considerazione fino al maggio di quest'anno, quando si è svolto il processo al quale neanche è stato in grado di partecipare.
A Phyo Wai Aung resta poco tempo da vivere. Farà prima il tumore del boia. Per questo i suoi familiari hanno chiesto alle autorità di Myanmar un'ulteriore decisione per "motivi umanitari": che muoia nel letto di casa.