Personale scarso, ipotesi di patto con lo Stato per i reati minori: celle aperte senza polizia penitenziaria

FRANCESCO GRIGNETTI

In futuro sarà il Patto. Tra il singolo che finisce in carcere e lo Stato verrà firmato infatti un accordo, con clausole, prescrizioni e impegni da rispettare.

Parliamo di detenuti a basso rischio. Non proprio ladri di polli, ma quasi. Il Patto con l'amministrazione penitenziaria regolerà i loro comportamenti. In cambio, avranno quasi l'autogestione del carcere.

Farà discutere, quest'ultima idea del nuovo direttore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino: le sezioni «aperte». D'altra parte, alle prese con un sovraffollamento in cella sempre più bestiale, e una carenza cronica di agenti, Tamburino non può illudersi.

Di questo passo la situazione peggiorerà sempre più. Dice Roberto Martinelli, segretario del sindacato Sappe: «Non sapete come sia duro e difficile lavorare a Genova, per fare un esempio, in strutture sovraffollate e surriscaldate. Più di 800 detenuti per 450 posti letto; i poliziotti dovrebbero essere 455 ed invece sono 320». Il che significa che nel carcere non sono mai presenti più di 80-100 agenti per turno. Ma gli 800 detenuti stanno sempre lì.

Ecco, di fronte a questa forbice che si va allargando pericolosamente, un mese fa Tamburino ha lanciato l'idea di mantenere saldo il circuito nazionale «ad alta sorveglianza», concentrando qui il personale di polizia, creando allo stesso tempo dei circuiti regionali «a bassa sorveglianza» per i detenuti che hanno quasi terminato la loro pena, per le donne, per chi è condannato a reati minori.

In queste carceri «aperte», dette anche «istituti a custodia attenuata», il controllo degli agenti sarà ridotto al minimo indispensabile. «Il servizio di sicurezza - scrive il direttore del Dap - una volta abbandonata l'idea che sia necessario, salvo che negli istituti a maggior indice di sicurezza, un controllo continuo sul detenuto, inutile ancorché impossibile, deve evolversi».

La sua proposta, per gli istituti a basso indice di sicurezza, si chiama «sicurezza dinamica». In che cosa esattamente consista, non è chiaro. Tamburino scrive ancora: «Nei diversi periodi dell'anno, della settimana e/o del giorno [occorre] prevedere la soluzione delle "pattuglie" che presiedono "territori"».

I sindacati della polizia penitenziaria sono già in fibrillazione. Immaginano che in queste sezioni «aperte» ci sarà un solo agente dove oggi sono in quattro. Ma dato che al momento non è realistico immaginare un'amnistia che svuoti i penitenziari, qualcosa si dovrà pur fare.

Già, perché al Dap hanno chiarissimo il rischio della situazione attuale: «Il personale opera in sezioni di istituti sovraffollati che accolgono, peraltro, altissime percentuali di stranieri, malati fisici e psichici, detenuti comuni o ad alta sicurezza e, legato come è alla staticità del posto di servizio, sembra accogliere su di sé tutto il peso della responsabilità... sente di trovarsi, il più delle volte da solo, a dover fronteggiare situazioni critiche avendo a disposizione strumenti non adeguati». E la tragedia sono i suicidi. Si uccidono i detenuti. Si uccidono gli agenti.

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