Edoardo Petti
La scorsa settimana in Kenya, ieri oltre cento morti in Nigeria, una vera e propria persecuzione da parte del fondamentalismo musulmano. Per padre Cervellera, missionario del Pontificio Istituto per le missioni estere, «i governi occidentali sono troppo assorbiti dalla necessità di fronteggiare la crisi per elaborare un piano di azione adeguato. Impera il concetto "che si arrangino da soli"».
Una settimana fa era stata la città kenyota di Garissa il teatro di un duplice massacro perpetrato contro i fedeli in preghiera. Ora, quasi seguendo le tappe di un macabro copione, torna a essere la Nigeria lo scenario della lunga catena di crimini che insanguina da tempo le comunità cristiane in molte aree del pianeta. Nell'arco di 24 ore centinaia di uomini armati, appartenenti con ogni probabilità alla componente islamica dei Fulani, hanno attaccato sabato numerosi villaggi nei pressi di Jos, capitale dello Stato centrale del Plateau, assassinando 80 persone. Poche ore più tardi, nel corso di violenti raid scatenati durante i funerali per le vittime di Jos, sono stati trucidati 22 fedeli, fra cui il senatore del nord Plateau, Gyang Dantong, e il leader della maggioranza parlamentare, Gyang Fulani, entrambi rappresentanti del gruppo cristiano Birom. La strage è stata perpetrata in una regione caratterizzata da una forte presenza etnica di fede musulmana a Nord e da una popolazione a maggioranza cristiana nel Sud. Un microcosmo che riassume in forma paradigmatica le tensioni e gli scontri interreligiosi che dilaniano la Nigeria da decenni.
È sempre più diffusa ormai la consapevolezza che gli eccidi compiuti ieri costituiscano l'ennesimo e crudele tassello di una campagna di persecuzione e terrore su scala globale contro i seguaci del Vangelo. Le manifestazioni di odio e intolleranza nei loro confronti coinvolgono il sub-continente indiano e l'arcipelago delle Filippine, l'Iraq mai pacificato e l'Egitto, teatro di massacri ai danni dei copti. E dilagano in Nigeria, dove la metà cristiana della popolazione è vittima delle atrocità compiute per il consolidamento del potere e per il controllo delle ricchezze naturali, nonché in Kenya, il cui governo è impegnato in una difficile missione in Somalia contro i guerriglieri integralisti Shabab.
Scenari profondamente differenti, accomunati e percorsi dal terrorismo jihadista, da un fondamentalismo musulmano intenzionato a distruggere ogni traccia di modernità e di aspirazione all'autogoverno, alla libertà religiosa e al primato della coscienza individuale. Principi che le comunità cristiane presenti nei due continenti incarnano e testimoniano ogni giorno.
Ma possiamo individuare l'esistenza di una strategia deliberata di persecuzione scientifica contro i fedeli di Gesù Cristo? E un simile progetto coinvolge i regimi che cinicamente utilizzano i dogmi religiosi per conservare se stessi dal vento della "primavera araba"? Il nostro quotidiano lo ha chiesto a padre Bernardo Cervellera, missionario del Pontificio Istituto per le missioni estere e direttore dell'agenzia di informazione Asia News, che da anni promuove la conoscenza sullo stato della liberà religiosa e dei diritti umani nel continente più popoloso del pianeta, soprattutto in Cina e negli Stati comunisti del Sud-Est.
Gli eccidi perpetrati contro i cristiani in Nigeria presentano una matrice affine a quella delle aggressioni compiute in Kenya?
Non siamo in grado di affermarlo con precisione, visto che manca persino una rivendicazione del crimine. Gli investigatori impegnati nella ricerca dei responsabili delle stragi in Kenya focalizzano la propria attenzione sui gruppi Al Shabab, gli islamici integralisti somali che puntano alla presa del potere a Mogadiscio. Garissa, la città in cui è avvenuto il massacro, si trova a pochi chilometri dal confine, e il modus operandi dell'attacco rivela la paternità dei guerriglieri jihadisti. Esattamente come il gruppo settario di Boko Haram - che significa "l'educazione occidentale è sacrilega" - attivo nel Nord-Est della Nigeria e ispirato dalla volontà di abrogare l'ordinamento laico-secolare per imporre la legge coranica in tutto il paese, essi intendono superare ogni forma di modernità e di coesistenza pacifica in nome di un'applicazione letterale e integralista dell'Islam.
Perché proprio i cristiani vengono colpiti?
Le comunità cristiane rappresentano dal punto di vista religioso una grande percentuale nella popolazione di paesi strategici del continente africano. In cui operano numerose iniziative missionarie, animate da organizzazioni non governative capaci di coinvolgere l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale. La loro semplice presenza è intollerabile per gruppi che aspirano a purificare il credo musulmano da contaminazioni esterne, a recintare i confini dell'Islam in una lettura testuale del Corano. Espressione emblematica di tale visione è offerta dagli esponenti salafiti, desiderosi di vivere in un Islam fermo al VII secolo.
Possiamo parlare di un programma concepito a tavolino per orchestrare una campagna di violenze contro i cristiani?
Al di là delle alleanze locali cementate in Nigeria o in Kenya con l'obiettivo di conquistare il potere, constato l'esistenza di influenze regionali esercitate dai governi dell'Arabia Saudita e del Qatar, per diffondere in tutto il continente africano la versione sunnita integralista, o wahabita, dei principi del Corano. È per realizzare questo disegno che si intrecciano e si saldano il fanatismo religioso e la volontà politica di regimi centrali negli equilibri mediorientali.
Quali iniziative devono essere assunte dalle democrazie occidentali per difendere i diritti inalienabili e l'incolumità dei cristiani e con essi la libertà di coscienza?
Temo che i governi occidentali siano troppo assorbiti dalla necessità di fronteggiare la crisi economico-finanziaria per elaborare un piano di azione adeguato. È incontrovertibile che i gruppi integralisti e jihaidisti proliferano grazie a una rete di moschee e predicatori in grado di colmare il vuoto di un'educazione pubblica al pensiero critico e al rispetto delle convinzioni altrui. Pensiamo all'Egitto, dove il 40 per cento di analfabetismo spinge gran parte della popolazione ad affidarsi all'autorità del mullah. Ritengo che i governi occidentali debbano destinare una parte rilevante delle risorse previste dalla cooperazione con i paesi a maggioranza islamica proprio alla costruzione di strutture scolastiche capaci di trasmettere i valori di tolleranza, convivenza e rispetto della libertà personale. Altrimenti, gli appelli all'apertura al mondo e al dialogo reciproco, come quello lanciato da Barack Obama all'Università del Cairo nel 2009, sono destinati a restare sulla carta.
La cultura occidentale è colpevole di ignavia e accondiscendenza verso le aggressioni compiute contro i cristiani?
Senza dubbio nella nostra società è diffuso un sentimento anti-cristiano di origine relativista, secondo cui i fedeli del Vangelo vittime di persecuzioni "devono arrangiarsi da soli". Si tratta dell'ennesima manifestazione di un Occidente introvertito su se stesso, che tende a ignorare tutte le violazioni della dignità umana. Restando indifferente anche verso le atrocità perpetrate contro Uiguri, Tibetani, Buddisti, Zoroastriani.
In Siria aumentano le testimonianze di cristiani terrorizzati dalle prospettive di vittoria dell'integralismo islamico. I popoli arabi sono dunque condannati a scegliere tra fanatismo musulmano e tirannie secolari come quella di Assad?
Nutro ottimismo e fiducia sullo sbocco della "primavera araba", frutto dello slancio e del desiderio di dignità umana e di giustizia, principi universali. A differenza di altri osservatori, non ho mai ritenuto le rivolte nel Nord Africa e in Medio Oriente un "rigurgito di fondamentalismo musulmano". Ma quelle realtà non hanno mai goduto della democrazia quale progetto sociale di integrazione delle molteplici visioni religiose e morali, e hanno sempre vissuto sotto il giogo delle dittature. L'incontro fra Islam e democrazia ha solo bisogno di tempo e di passi concreti nella giusta direzione.
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