A cura di Tommaso Canetta e Carlo Manzo, con la collaborazione dell'Avv. Stefano Molfino
In Italia resiste una forte disparità di trattamento tra coniugi e conviventi, e in alcune città si cerca di rimediare, almeno in parte, coi registri delle unioni civili (a Milano, la cosa crea frizioni nella maggioranza). Ma quali sono le differenze di diritti tra coppie sposate e coppie di fatto? Eccolo spiegato, punto per punto, nella nostra infografica.
Le coppie di fatto, eterosessuali o omosessuali, non sono riconosciute e tutelate a livello nazionale, nonostante diverse norme internazionali chiedano all'Italia di disciplinare la materia. Questa lacuna è stata sottolineata anche dalla Corte Costituzionale. Per dare un minimo di inquadramento giuridico e di dignità sociale alle situazioni di convivenza, numerosi Comuni italiani hanno istituito dei Registri delle "unioni civili".
Con l'arrivo di Pisapia, anche a Milano il tema è entrato nel dibattito politico cittadino. L'approvazione della delibera che dovrebbe istituire il registro è prevista per dopo l'estate. Anche se, proprio ieri, la cosa è diventata oggetto di una diatriba nella maggioranza. L'assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino si è detto contrario al rinvio a settembre: «Non vedo motivi per rinviare l'approvazione della delibera». La presidente della commissione Pari opportunità Anita Sonego (Sinistra per Pisapia), si è detta a favore anche di particolari cerimonie per copie etero o gay: «I riti servono a vivere. Secondo me una cerimonia laica è fondamentale», facendo storcere qualche bocca.
Elisa D'Amico, avvocato in prima linea nella difesa dei diritti civili e che da consigliere del Pd sta seguendo i lavori sul registro, spiega a Linkiesta la portata di questa decisione. «Il registro è un atto amministrativo, che ha valenza nelle materie di competenza del Comune», che, leggendo il testo della delibera sono "casa, sanità e servizi sociali, giovani, genitori e anziani, sport e tempo libero, formazione, scuola e servizi educativi, diritti e partecipazione e trasporti".
«In queste materie - prosegue la D'Amico - il Comune si assume l'onere di trattare in modo identico le coppie sposate e quelle iscritte nel registro. Si badi bene, l'iscrizione non è in alcun modo automatica, è un atto volontario». A chi solleva la questione che in tempo di crisi le coppie sposate dovrebbero venire prima, il consigliere Pd risponde: «noi abbiamo scelto di usare un criterio non discriminatorio. Diamo le agevolazioni a chi ne ha bisogno da un punto di vista economico».
L'iscrizione non è riservata solo alle coppie in senso stretto. «Per come l'abbiamo formulato, è possibile che valga anche per fratelli, amici, cugini o altro. Il punto è che quel che dice il registro, il Comune poteva già farlo - e in certi casi già lo fa - ma stiamo cercando di dare ordine alla materia». Dunque si tratta più di razionalizzazione che innovazione, anche se l'istituzione del Registro delle unioni civili a Milano ha una valenza anche politica. «Di per sé è un atto amministrativo minimo - spiega Marilisa D'Amico - che non ha impatto a livello nazionale. Ma se viene fatto bene, in una città come Milano, col concorso collaborativo dell'opposizione, ovviamente ha un certo significato».
Il tema in ogni caso non si esaurisce qui. A fronte delle discriminazioni che persistono, e in assenza di un intervento legislativo, potrà essere la Corte Costituzionale a garantire certi diritti. «Nella sentenza 138, che ho seguito da avvocato, la Consulta ha detto che se non sarà colmata la lacuna provvederà lei nei casi più gravi a garantire i diritti delle coppie di fatto». Al di là dei registri, c'è ancora molto da fare.
Ma da un punto di vista teorico, se si esclude il tema delle coppie omosessuali, c'è chi si chiede: perché lo Stato deve garantire dei diritti e doveri a chi, potendo assumerli tramite il vincolo del matrimonio, decide di non farlo? A questo punto non avrebbe più senso estendere il matrimonio civile alle coppie gay, senza andare a creare un'apposita forma giuridica per la situazione di convivenza?
Carlo Lottieri, filosofo liberale, sentito da Linkiesta alla sua risposta premette: «Io mi muovo in una prospettiva libertaria per cui il matrimonio, ma anche tutte le altre realtà importanti, proprio perché importanti dovrebbero essere deregolate». La crisi dell'istituto matrimoniale, secondo Lottieri, dipende proprio da questa «iper-regolamentazione, di un'unica forma possibile di matrimonio, per cui agli individui non è data la possibilità di "ritagliarsi" il matrimonio che più desiderano».
«In questa prospettiva - prosegue il filosofo - si supererebbe anche la questione delle coppie di fatto. In un sistema in cui gli individui sono liberi di scegliere il proprio rapporto, e lo Stato non connette nessun diritto positivo o sociale all'istituto del matrimonio, cesserebbe ogni politicizzazione e strumentalizzazione». Ma escludendo la possibilità che nel breve l'Italia sia rinnovata da una rivoluzione liberale, sulla questione concreta delle coppie di fatto Lottieri afferma che «bisogna riconoscere il primato del fatto sul diritto. Se la società si è evoluta, devono farlo anche le leggi. Le resistenze al cambiamento - sostiene - sono di ordine politico prima che economico. C'è l'idea che il matrimonio e la famiglia debbano essere sacralizzate dall'intervento dello Stato. Questa prospettiva è ridicola nel mondo contemporaneo, è un residuo otto-novecentesco».
Il matrimonio civile, non quello religioso, è quindi il problema. Chi non vuole dare una valenza sacra-religiosa alla propria unione, è costretto a darne una quasi altrettanto sacra, ma laica, oppure a rinunciare alla stabilità del rapporto. «Il matrimonio civile, per come è fatto in Italia, è contrario alla capacità di autoregolarsi della società. Il vero passaggio - conclude il filosofo - è conferire alle parti la libertà di decidere». Se lo strumento delle unioni civili servirà almeno ad aumentare lo spettro di scelta delle persone, sarà un passo in avanti.
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