Valeria Gambino, 28 anni, educatrice nel campo di Concordia, sta lavorando nell'area del terremoto dal 5 giugno. L'abbiamo intervistata per scoprire da vicino la sua esperienza e le sue impressioni.
Ciao Valeria, ci racconti la tua prima impressione arrivando in questo campo?
Quando sono arrivata a Concordia, l'impatto è stato molto diverso rispetto agli altri campi. Questo spazio prima era il centro estivo per i bambini e quando sono arrivati erano davvero spaesati, perché il loro spazio era completamente sconvolto, non più a misura di bambino come lo ricordavano, ma completamente ridisegnato con le tende per dormire e la mensa al posto dell'area dove prima erano abituati a giocare.
Ma i bambini sono straordinari anche in questo e l'hanno vissuta come un'avventura, anche se nasceva da uno smarrimento. Noi li abbiamo accompagnati in questo percorso, non a caso stiamo preparando un musical, Peter Pan. Loro sono entusiasti e si stanno identificando completamente con i bambini smarriti.
Lei è la nostra Trilly (ndr, la bambina in braccio a Valeria, 4 anni).
Cosa fate nel campo?
Uno degli obiettivi principali del lavoro quotidiano con i bambini e i ragazzi è ricreare una normalità, un ritmo che cadenzi le attività e che gli permetta di tornare ad una quotidianità che permetta loro di superare pian piano il trauma.
Appena apriamo la tenda, alle 10, i bambini iniziano ad arrivare perché sono ansiosi di cominciare. Sanno che questo spazio è loro, aiutano ad aprirlo e a chiuderlo, mettono a posto giochi e materiali, lo sentono ormai come un luogo che gli appartiene, sono tornati ad avere qui la loro area a misura di bambino.
Di solito la mattina abbiamo laboratori creativi, dopo aver condiviso la programmazione settimanale che costruiamo insieme, poi dividiamo in gruppi i più piccoli e i più grandi, visto che qui andiamo dai 2 ai 18 anni. Alle 13 si chiude per il pranzo, torniamo alle 4, nella prima mezz'ora ci sono attività di gioco libero per i più piccoli e aiuto compiti per i grandi, poi la merenda e poi attività varie con musica, laboratori, iniziative. L' obiettivo è aiutarli a superare insieme il trauma attraverso attività ludiche ma costruttive, in cui possano davvero esprimersi.
L'episodio più bello che ti viene in mente?
Qualche giorno fa abbiamo fatto un gioco basato sulla parola: al grido "mare" andavamo avanti, alla parola "terra" tutti indietro. Tra i bambini del campo ce n'è uno di 4 anni non udente che in quei giorni non aveva l'apparecchio, non si stava integrando con gli altri e la sua modalità di relazione era solo gridare. E invece quel gioco lo ha fatto sbloccare, è cambiato tutto, riusciva a seguirci, si è potuto esprimere malgrado la sua disabilità e ha quasi vinto!
Cosa ti porterai a casa dopo questa esperienza?
Come educatrice questa è una bellissima esperienza, siamo un'equipe affiatata e lavoro molto bene con Save the Children. E soprattutto sto accompagnando questi bambini in un percorso che loro stessi stanno costruendo per uscire dal trauma. Quando finirà questa esperienza mi rimarrà anche un'altra cosa, oltre l'esperienza umana e professionale: avere meno attaccamento per le cose, anche quelle alle quali tengo, in fondo sono solo cose. Ora che sto vivendo con bambini che hanno perso tutto l'ho capito, è questo che ho imparato da loro.