Cambia, dopo oltre 40 anni, l'articolo 18 (lo Statuto dei lavoratori è datato 1970), con la limitazione nei licenziamenti illegittimi per motivi economici della reintegrazione nel posto di lavoro. Che d'ora in avanti non sarà più automatica. Ma potrà essere accordata (al posto del riconoscimento di un'indennità risarcitoria compresa tra le 12 e le 24 mensilità) solo nelle ipotesi in cui il giudice accerti la «manifesta insussistenza» del fatto posto alla base dell'atto di recesso.
È questa, politicamente e simbolicamente, la modifica principale introdotta dalla riforma del lavoro targata Elsa Fornero, approvata ieri definitivamente dalla Camera, e che il premier, Mario Monti, potrà far valere oggi a Bruxelles davanti agli altri leader europei, dopo i ripetuti richiami all'Italia, anche da parte della Bce ad agosto 2011, a modificare le regole del nostro mercato del lavoro, compresa la flessibilità in uscita.
Nel corso dell'esame parlamentare (il provvedimento è stato varato dal Consiglio dei ministri il 23 marzo) è stata attenuata anche la discrezionalità del giudice nello stabilire il reintegro del lavoratore nel caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Con l'eventuale ritorno in azienda del dipendente che potrà essere stabilito solo in base alle "tipizzazioni" previste nei contratti collettivi e nei codici disciplinari (e non più quindi in base alle previsioni di legge). Resta sempre nullo, invece, il licenziamento discriminatorio, intimato per esempio per ragioni di credo politico, fede religiosa o attività sindacale. Mentre prima di procedere a un licenziamento per motivi economici bisognerà esperire (in via obbligatoria) il tentativo di conciliazione che, dopo una correzione al Senato, non potrà più essere invalidato (e con esso l'atto di recesso) da una finta malattia del lavoratore. Uniche eccezioni ammesse: maternità o infortunio sul lavoro.
La riforma Fornero interviene pure sugli ammortizzatori sociali, puntando ad avvicinare sia pur timidissimamente l'Italia al sistema di "flexecurity" vigente in Danimarca, dove è tutelato in via diretta il lavoratore, e non il posto di lavoro. Nel 2013 (e se non ci saranno ulteriori slittamenti) arriverà l'Aspi, la nuova Assicurazione sociale per l'impiego, che sostituirà a regime, nel 2017, l'indennità di mobilità e quella di disoccupazione. Ne potranno usufruire oltre ai lavoratori dipendenti anche gli apprendisti e gli artisti; e sarà possibile trasformare l'Aspi in liquidazione per poter avviare un'impresa. Per chi non è tutelato dall'Aspi, ci sarà la mini-Aspi. Mentre se il lavoratore rifiuta un impiego con una retribuzione superiore almeno del 20% rispetto all'indennità che percepisce perderà il sussidio.
La cassa integrazione ordinaria (Cigo) non subirà modifiche, mentre quella straordinaria (Cigs) sarà interessata da un doppio intervento. Da un lato, questo ammortizzatore viene portato a regime in alcuni settori già interessati (attraverso norme transitorie), come le imprese commerciali e di viaggio con più di 50 dipendenti e le imprese del trasporto aereo e del sistema aeroportuale. La seconda modifica consiste invece nella soppressione della Cigs, a partire dal 1° gennaio 2016, nei casi di fallimento dell'impresa, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni e nelle ipotesi di aziende sottoposte a sequestro o confisca.
Nel mirino delle nuove norme c'è anche il capitolo sulla flessibilità in entrata, con il contratto a tempo determinato che costerà di più (è previsto un contributo addizionale dell'1,4% che servirà a finanziare l'Aspi) e sale a un anno la durata del primo contratto a termine senza specifica del c.d. "causalone". Per i collaboratori a progetto (nel 2010, secondo l'Isfol, erano 676mila con un reddito medio annuo inferiore ai 10mila euro - poco più di 800 euro al mese) arriverà una sorta di "salario base", mentre si allenta la stretta sulle partite Iva che si considerano "vere" se hanno un reddito lordo di almeno 18mila euro l'anno. Tutto ciò per favorire l'apprendistato: che dovrà diventare il canale d'ingresso principale al lavoro. Complessivamente la riforma Fornero peserà sulle casse dello Stato per circa 2,2 miliardi l'anno, a regime. Con una clausola di salvaguardia finanziaria: in caso di scostamenti di spesa il Tesoro provvederà a tagli lineari sulle spese rimodulabili.