Daniela Del Boca, Silvia Pasqua e Chiara Pronzato

In Italia, l'offerta di nidi pubblici è tra le più basse d'Europa: solo il 12% dei piccoli sotto i 3 anni ha un posto, contro il 35-40% della Francia. Una carenza che non influisce solo sull'occupazione femminile, ma anche sul rendimento scolastico dei ragazzi. Ecco una analisi tratta da Lavoce.info.

(articolo originariamente pubblicato su Lavoce.info il 15 dicembre 2011)

L'Italia ha tre cruciali peculiarità: la bassissima partecipazione delle donne al mercato del lavoro, la bassissima fecondità e l'uscita delle donne dal mercato alla nascita del primo figlio, causata principalmente dal sovraccarico di lavoro familiare, secondo i recenti dati Istat.


Non si investe nei bambini

Dalla concomitanza di questi fenomeni "negativi" potremmo attenderci benefici almeno per i bambini: se ci sono pochi bambini in famiglia e poche mamme lavorano fuori casa, c'è più tempo, in media, da dedicare ai figli. Il benessere e lo sviluppo cognitivo e comportamentale dei bambini dovrebbe trarne vantaggio.
Invece, i dati europei mostrano che i ragazzi italiani non ottengono risultati migliori dei loro coetanei degli altri paesi, ma addirittura peggiori. L'Italia infatti è trentatreesima nella valutazione delle competenze linguistiche (quart'ultimo peggior punteggio) e trentottesima per abilità matematiche su 57 paesi (Pisa-Ocde 2007).

I recenti studi di Jim Heckman e dei suoi coautori hanno dimostrato come sia cruciale per lo sviluppo cognitivo individuale l'investimento (da parte delle famiglie e del sistema scolastico) nei primi anni di vita. Non solo ha rendimenti più elevati rispetto a un investimento fatto più tardi, ma ha anche costi minori. In Italia, l'investimento pubblico nei bambini nella prima fase del ciclo di vita è limitato sia nel confronto europeo che nel confronto con altre classi di età. La spesa media per i bambini in questa fascia di età è del 25 per cento inferiore a quella media dei Paesi Ocde ed è la metà della spesa media destinata alle classi di età 6-11 e 12-16. L'offerta di servizi, cioè nidi pubblici, è tra le più basse d'Europa: solo il 12 per cento dei bambini sotto i tre anni ha un posto al nido pubblico, contro il 35-40 per cento della Francia e dei paesi nordici.

Esiste un legame tra lo scarso investimento nei bambini piccoli e i deludenti risultati dei nostri figli nelle classifiche internazionali? In Italia, la mancanza di dati longitudinali non permette di seguire i bambini, i loro genitori e i percorsi educativi nel tempo e di metterli in relazione con i risultati cognitivi e comportamentali di pre-adolescenti e adolescenti.

 
Il nido e i successivi risultati scolastici

Con i limitati dati disponibili tuttavia è possibile verificare la relazione tra frequenza dell'asilo nido e risultati scolastici successivi nella scuola elementare. Un primo data set che lo consente è l'Invalsi. L'analisi della relazione tra i punteggi al test Invalsi e la disponibilità di posti negli asili nidi a livello provinciale, (controllando per altri fattori di contesto che potrebbero influenzare gli esiti cognitivi dei bambini e l'offerta educativa) mostra una relazione positiva. Per esempio, la correlazione dei voti nella seconda elementare in italiano e l'offerta di child care è mostrata nella figura 1.

I bambini che hanno avuto una probabilità più alta di frequentare l'asilo nido, hanno punteggi migliori in italiano. L'associazione positiva è particolarmente forte se i bambini provengono da una famiglia più svantaggiata che può rivelare un importante nesso con la qualità degli inputs del child care. Risultati del tutto analoghi si riscontrando dall'analisi degli esiti scolastici (voti alla fine delle medie, delle superiori e dell'università) dei giovani tra i 18 e i 30 anni riportati nell'indagine ISFOL-Plus. 4

Altri dati rilevanti sono quelli che emergono dalle indagini condotte dal dipartimento di psicologia dell'università di Torino, che raccolgono informazioni sui bambini frequentanti la scuola elementare (dalla I alla IV classe) nell'anno scolastico 2008-09 in alcune scuole delle province di Cuneo, Asti e Torino. Gli esiti misurati, questa volta, sono di natura non-cognitiva (capacità di ascolto, capacità di concentrarsi nello studio, capacità di stabilire relazioni amicali, creatività nel gioco e capacità di cooperazione con i compagni). I bambini che sono andati al nido hanno in media migliori capacità non-cognitive che gli altri. Anche se l'effetto del lavoro della madre su queste capacità è in alcuni casi negativo, è comunque molto piccolo e quindi più che compensato dall'effetto positivo dell'essere andati al nido.

I dati anche se limitati suggeriscono risposte preliminari, ma importanti, che confermano l'esperienza di altri paesi (Danimarca, Gran Bretagna): la socializzazione precoce, il rapporto educativo con personale specializzato, gli stimoli offerti da nidi di qualità (quali sono, ancora, i nidi pubblici italiani) sono fondamentali per lo sviluppo dei bambini.
Si tratta di un'istituzione che compie oggi quarant'anni. La prima legge nazionale sulla costituzione di asili nido risale infatti al 1971 (legge n. 1044 del 6 dicembre 1971) e prevedeva un "Piano quinquennale per l'istituzione di asili comunali con il concorso dello stato". Il gettito della nuova Imu, anche se non lasciato interamente ai comuni (che ricevono il gettito delle prime case e metà del gettito relativo agli altri immobili, mentre il resto va allo Stato) potrebbe ridare una importante leva di fiscalità che permetterebbe di mantenere e incrementare questo importante strumento di conciliazione per i genitori e di investimento prescolare e della sua qualità.

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/asilo-nido-italia#ixzz1ytIXbO5d

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