Roma, 25-06-2012
L'aula della Camera è convocata alle 11 con all'ordine del giorno la riforma del lavoro già approvata dal Senato e su cui oggi il governo porrà il voto di fiducia.
Le fiducie saranno quattro, a iniziare da domani. Il voto finale sul provvedimento è previsto per mercoledì 27 giugno, in modo che la riforma - come chiesto dal premier Mario Monti - venga approvata alla vigilia del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno.
Il Presidente del Consiglio vuole dimostrare ai partner internazionali che l'Italia prosegue con serietà sulla linea del rigore delle riforme, condizione necessaria per chiedere agli altri paesi europei più impegno sulla crescita.
Pd, Pdl e udc hanno garantito all'esecutivo l'approvazione della riforma entro i tempi richiesti in cambio dell'impegno a risolvere quanto prima il problema degli esodati e a cambiare successivamente il ddl in alcuni punti.
Il Pd ha chiesto in particolare di rinviare di un anno l'entrata in vigore dei nuovi ammortizzatori sociali a fronte della crisi economica in corso. Il Pdl vuole invece maggiore flessibilità su contratti a termine, partite Iva e apprendistato.
Angelino Alfano non risparmia critiche alla riforma alla vigilia della sua approvazione: "è l'ultima volta che ci adeguiamo. Una riforma del lavoro, quando studia le procedure, deve renderle più semplici. Gli imprenditori devono avere regole semplici per assumere. invece questa riforma le complica". Il segretario del Pdl insiste nel ricordare l' impegno di Monti a favorire alcune correzioni della riforma quando si tratterà di dare il via libera parlamentare al decreto sviluppo.
Polemica a distanza nei giorni scorsi anche tra Elsa Fornero, Ministro del Welfare, e Giorgio Squinzi, Presidente di Confindustria, che aveva definito la riforma "una boiata". "Sono sicura che si ricrederà. "La riforma è importante per le imprese", ha replicato il ministro.
L'attenzione del governo è intanto già rivolta a un altro problema. Sono arrivati a Palazzo Chigi i dossier che il Presidente del Consiglio aveva chiesto a ciascun ministro sulla possibile spending review del proprio dicastero.
I fascicoli saranno esaminati da Monti oggi nel corso di una riunione che prepara il prossimo Consiglio dei Ministri e che dovrebbe essere l'occasione per discutere della "manovrina" che dovrà essere varata a fine giugno o inizio luglio, subito dopo il Consiglio europeo. L'entità dell'intervento correttivo, secondo le indiscrezioni, potrebbe raggiungere i 7-10 miliardi per il 2012.
Un primo Cdm potrebbe essere convocato domani, ma potrebbe però slittare a dopo il Consiglio europeo. Le risorse individuate, secondo gli intenti del governo, dovrebbero consentire di bloccare l'aumento di due punti dell' Iva previsto a partire dal primo ottobre. Mario Ciaccia, Viceministro alle Infrastrutture, chiarisce: "Ci stiamo impegnando per tagliare la spesa. L'Iva non aumenterà neanche di un punto. Finita l'epoca degli sprechi, stiamo recuperando risorse all' interno della spesa pubblica".
La Camera dovrebbe approvare nei prossimi giorni un emendamento che applica al Parlamento, al Quirinale e alla Corte costituzionale la spending review come criterio guida dei propri bilanci. Alcune indiscrezioni parlano pure di norme che dovrebbero tagliare le cosiddette "pensioni d'oro".
Dal commissario Enrico Bondi, nominato dal governo con l'obiettivo di disegnare un piano di spending review, dovrebbe arrivare l'ipotesi di un risparmio sull'acquisto di beni e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche di circa 4 miliardi in modo da evitare l' aumento dell'Iva a ottobre.
L'esecutivo ha chiesto a Bondi di presentare anche un progetto di tagli più radicale fino a 7 miliardi, in modo da includere eventualmente in quel risparmio le uscite previste per gli aiuti alle zone terremotate in Emilia e alcune delle risorse da destinare al decreto sviluppo. Oltre ai risparmi da includere nella spending review, si sta lavorando ad altri interventi di ridimensionamento della spesa. In particolare Filippo Patroni Griffi, Ministro della Funzione pubblica, sta preparando un dossier che prevederebbe per un periodo più o meno lungo la non sostituzione dei dirigenti che vanno in pensione nella pubblica amministrazione.