La donna si suicidò il 20 agosto del 2011, dopo violenze psicologiche e fisiche da parte dei familiari

Secondo il magistrato Alessandra Cerreti fu la giovane madre a chiedere che i figli non entrassero nel programma di protezione

Festival "Trame" 2012

Quasi un anno dopo il suicidio di Maria Concetta Cacciola, testimone di giustizia calabrese - diventata ormai simbolo della lotta femminile alla 'ndrangheta - si scioglie uno dei nodi più intricati della sua storia: fu lei stessa, dichiara il magistrato della Dda reggina Alessandra Cerreti, intervenendo al dibattito di apertura della prima giornata del Festival "Trame"  a richiedere che i suoi tre figli non entrassero nel programma di protezione, nel quale la Cacciola venne inserita dopo la decisione di collaborare con la giustizia. La storia di Maria Concetta, suicidatasi nell'agosto del 2011 in Calabria,  nel corso degli ultimi mesi è diventata simbolo di una rivoluzione, una rivolta al sistema mafioso calabrese: stanca di subire le violenze - non solo psicologiche  - della sua famiglia, per garantire un futuro migliore ai propri figli, decise di collaborare con la Dda di Reggio Calabria, diventando a pieno titolo una testimone di giustizia. Maria Concetta entrò nel programma di protezione e fu costretta ad allontanarsi da Rosarno. Arriverà fino a Bolzano, completamente sola, sotto nuova identità. Non riuscì a resistere, e cedette: richiamò la sua famiglia e si fece venire a prendere. Il sogno di libertà finì, ritornò a Rosarno, dai suoi bambini.

Dopo pochi giorni si chiuse nel bagno e ingerì acido muriatico.

Fino ad oggi in tanti si erano interrogati sulle motivazioni che avevano indotto Maria Concetta ad abbandonare il programma di protezione: la spiegazione sembrava essere una ed una sola. Era stata troppo forte la paura che quegli stessi bambini per cui lei aveva scelto di cambiare vita potessero essere in pericolo nelle mani dei familiari di cui Maria Concetta stava accusando i crimini.  Una madre mossa dall'amore per i suoi bambini, tornata indietro per proteggerli. Questa era la storia finora. Fino ad oggi. Ci si era chiesti, allora, perché lo Stato, nelle vesti del servizio di protezione, non avesse consentito ai tre bambini di seguire la madre nella località protetta. Addirittura, la deputata Laura Garavini sollevò in merito un'interrogazione parlamentare, alla quale l'allora governo Berlusconi non rispose.

Oggi, Alessandra Cerreti ci racconta una storia diversa, rispondendo agli interrogativi che molte testate hanno sollevato in questi mesi.  Il magistrato, dichiara: «Solo oggi è possibile rendere pubbliche queste informazioni, per questa ragione, emergono tanto tardi. È provato che Maria Concetta  avesse esplicitamente richiesto due volte - nei due primi interrogatori -   che i bambini venissero lasciati momentaneamente ai familiari.  Non voleva obbligare i figli  a seguirla. Non voleva imporre loro la sua scelta. Se avesse fatto la richiesta, avremmo fatto in modo che la raggiungessero il giorno stesso. Maria Concetta temeva che i suoi figli dovessero accettare una scelta per forza. Furono la sua forza, ma anche il suo punto debole».  

 Le dichiarazioni di Alessandra Cerreti emergono durante il primo incontro di Trame, Festival dei libri sulle Mafie, che ha voluto aprire la sua seconda edizione con un dibattito sul "Coraggio delle donne". Perché è da lì che la Calabria sta ripartendo: queste giovane donne, che si stanno ribellando al sistema della 'ndrangheta, mettendo in crisi l'intero tessuto criminale della regione, le famiglie e gli uomini che lo gestiscono.

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