Nel 2011 gli attivisti impegnati nella tutela delle foreste, dei fiumi e della terra sono stati uccisi al ritmo di uno a settimana, e il dato è quasi raddoppiato negli ultimi tre anni. La denuncia agghiacciante viene da Global Witness, ong attiva sul tema dei diritti umani, in un documento pubblicato prima del vertice di Rio sullo sviluppo sostenibile...
E proprio il Brasile - l'ospite della Conferenza Rio+20 - spicca per i suoi 365 attivisti ambientali uccisi nell'ultimo decennio, registrando quasi la metà di omicidi di questo tipo avvenuti nel mondo, la maggioranza dei quali collegati al disboscamento illegale attuato in Amazzonia e in altre aree remote, in uno scenario descritto da Global Witness - e rilanciato dal Guardian - come una sorta di "selvaggio west". Il Brasile mostra tuttavia un recente trend di diminuzione per fatti del genere, e, come pure in Perù e Colombia, dati relativamente trasparenti sul problema grazie all'impegno di forti gruppi della società civile, media e gruppi ecclesiali; viceversa le Filippine vengono indicate come un'area segnata da una recrudescenza.
Global Witness ammette che la propria indagine riporta dati incompleti, basandosi su informazioni frammentarie e spesso lacunose, soprattutto relativamente ad alcuni Paesi (Cina e Asia centrale): il sacrificio di vittime tra gli ambientalisti potrebbe infatti essere assai maggiore, non comprendendo inoltre i decessi relativi a conflitti transfrontalieri indotti dalla competizione per le risorse naturali, gas e petrolio. Da qui l'invito della ong ai leader dei Paesi presenti a Rio sia perché istituiscano sistemi per monitorare e contrastare la crescente violenza, spesso perpetrata col coinvolgimento di governi e multinazionali straniere, sia a ridurre le pressioni di consumo delle risorse naturali.
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