Lettera del sindacato di categoria contro l'accordo appena firmato dall'azienda
Missiva al ministro Fornero: «Revochi loro il bollino rosa,
con questa firma equiparano la maternità a una malattia»
Massimo Sarmi, amministratore delegato di Poste Italiane (Imagoeconomica)Massimo Sarmi, amministratore delegato di Poste Italiane (Imagoeconomica)
MILANO - La lettera indirizzata al ministro del Welfare, Elsa Fornero, per informarla del «cattivo esempio» e di prendere provvedimenti contro Poste Italiane, insignita - proprio dal ministero del Lavoro - del bollino rosa nel 2007 perché estremamente rispettosa delle politiche di genere, soprattutto della necessaria equiparazione reddituale tra uomini e donne. Ecco gli strali della Slc Cgil, il sindacato di categoria per le comunicazioni, contro la decisione della maggiore azienda del Paese per il numero dei lavoratori coinvolti (145mila, il 53% donne) di non riconoscere il premio di produzione di circa 140 euro alle donne che nell'ultimo anno erano in congedo di maternità obbligatoria (i cinque mesi pre e post-partum). Non solo. Il bonus non sarebbe stato riconosciuto neanche ai dipendenti assenti a causa di malattie estremamente invalidanti, come quelle oncologiche.
L'ACCORDO - Si tratta di un accordo firmato comunque da quattro sigle sindacali (minoritarie in termini di rappresentanza sindacale, perché «tutelerebbero» soltanto il 22% dei dipendenti) come la Uil Poste, Failp-Cisal, ConfsalCom e UglCom e non condiviso né dalla Cgil, tanto meno dalla Cisl che in Poste Italiane ha tradizionalmente un fortissimo seguito. Denuncia la Slc Cgil che «è un segnale estremamente negativo nei confronti delle politiche familiari». Scrivono congiuntamente Emilio Miceli, segretario nazionale Slc Cgil e Mario Petitto, Slp Cisl, che la trattativa precedente all'accordo «ha evidenziato un incomprensibile posizione aziendale. Nonostante gli utili rilevanti ottenuti in questi anni - si legge nella nota - l'accordo avrebbe negato aumenti strutturali per l'intero triennio e penalizzando il prospetto delle riduzioni per malattia introducendo un ulteriore scaglione con una decurtazione del 75% della quota regionale». Ma al netto delle beghe di ordine economico - rincara Barbara Apuzzo, delle segreteria nazionale servizi postali Slc Cgil - «è un durissimo colpo alle donne in età fertile, la maggioranza in azienda, dato il rinnovamento anagrafico di cui gli esodati in Poste Italiane ne sono l'esempio più evidente» (rimasti senza lavoro e senza pensione e incoraggiati a cedere il loro posto ai figli, impostazione che ha suscitato più di qualche critica per il suo presunto carattere nepotista). Ma i confederali guidati da Susanna Camusso sembrerebbero voler persino andare oltre e hanno già invocato la «battaglia di genere», recapitando la missiva alle deputate e alle senatrici presenti in Parlamento per incoraggiarle a contrastare questi accordi aziendali.
LA REPLICA DI POSTE - Non si è fatta attendere la replica di Poste Italiane che in una nota ha spiegato come «con l'accordo si è voluto introdurre uno specifico istituto con l'obiettivo di valorizzare e riconoscere in modo particolare il contributo prestato da ben 32.000 lavoratrici e lavoratori che effettuano la loro attività senza alcun tipo di assenza». E anzi contrattacca alle accuse del sindacato affermando come il sostegno alle politiche familiari si concretizzi con «l'integrazione della indennità previste per legge in caso di congedo per maternità che consente di erogare il 100% della retribuzione a fronte del 80% riconosciuto dalla legge».
Fabio Savelli