Poco rispettati i tempi «limite» per visite, esami, interventi. Sempre più persone pagano per le indagini diagnostiche.

Tac, risonanze magnetiche o mammografie sempre più spesso effettuate in strutture private. Secondo una recente indagine del Censis, negli ultimi sei anni è triplicata la quota di italiani (quasi 1 su 5) che ha pagato di tasca propria per eseguire accertamenti diagnostici. Il motivo principale? Nelle strutture pubbliche le liste d'attesa sono troppo lunghe. Dati, questi, che trovano una conferma indiretta nelle segnalazioni fatte al Pit Salute del Tribunale dei diritti del malato-Cittadinanzattiva dai pazienti: per esempio, un anno di attesa per una mammografia, più di sei mesi per un intervento alla carotide ostruita al 70%, più di un anno per un intervento all'anca dopo aver fatto la visita anestesiologica 9 mesi fa.

FEDERALISMO DELLE ATTESE - Norme che dovrebbero assicurare il diritto a cure appropriate in tempi certi esistono. Solo sulla carta, forse? «I tempi d'attesa non sono diminuiti ? fa notare Francesca Moccia, coordinatrice nazionale del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva, che presenterà in autunno il nuovo rapporto ?. Gli assistiti continuano a segnalare liste "chiuse", con la conseguente impossibilità di prenotare; pagando, invece, ottengono la stessa prestazione in tempi adeguati. Esiste, poi, un "federalismo delle attese" con sistemi di prenotazione, tempi massimi previsti e ticket diversi». Eppure lasciava ben sperare il Piano nazionale di governo delle liste di attesa 2010-2012 (varato nel novembre 2010). Oltre a stabilire tempi massimi d'attesa, i codici di "priorità temporale" (che affida il giudizio di "urgenza" delle prestazione ai medici di famiglia, vedi infografica) e corsie preferenziali per chi ha malattie oncologiche e cardiovascolari, ha introdotto un'importante novità: in caso di mancato rispetto del Piano per contenere le attese, alle Regioni inadempienti possono essere sospesi i finanziamenti integrativi, nell'ambito del riparto del Fondo sanitario nazionale. Il documento doveva essere recepito dalle Regioni con propri piani e poi dalle Aziende sanitarie con programmi attuativi (in caso contrario, comunque, si applicano i tempi fissati dal Piano nazionale).

NUOVO PIANO NAZIONALE - Ma com'è andata? «Lazio e Campania non hanno recepito con Piani regionali quello nazionale, anche se hanno adottato azioni propedeutiche al Piano e al monitoraggio ? riferisce Alessandro Ghirardini della Direzione generale programmazione sanitaria del Ministero della Salute ?. Ciò non significa però che nelle altre Regioni che hanno un proprio Piano, a volte identico a quello nazionale, i tempi di attesa siano rispettati. Inoltre, i percorsi diagnostico-terapeutici per l'area oncologica e cardiovascolare hanno una diffusione a macchia di leopardo». Gli esperti del Ministero della Salute, dell'Agenas (Agenzia servizi sanitari regionali) e delle Regioni sono già al lavoro per stilare il nuovo Piano nazionale di contenimento delle attese per il prossimo triennio.

FRAMMENTAZIONE - «Stiamo studiando un sistema che permetta a tutte le Regioni di accorciare realmente le attese ? anticipa Ghirardini ?. Indicazioni utili arrivano anche dal "Programma Nazionale Esiti" gestito da Agenas per conto del Ministero: mette in evidenza un problema presente in molte Regioni, cioè la frammentazione eccessiva delle richieste di prestazioni, che impedisce di concentrare risorse a favore dell'appropriatezza delle cure, genera un non "governo" della domanda e di conseguenza un aumento delle liste d'attesa». Osserva Costantino Troise, segretario nazionale del sindacato dei medici ospedalieri Anaao Assomed: «Serve un modello di reti integrate tra ospedali e tra ospedale e territorio, con strumenti in grado di rilevare la domanda reale di prestazioni, che non potrà calare perché la popolazione invecchia e le patologie aumentano. Si potranno però ridurre, per esempio, gli esami inutili attraverso protocolli condivisi con i medici di famiglia».

Maria Giovanna Faiella


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