Martedì 12 giugno si celebra la Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile. L'esperienza del Cesvi in Kenya.
Sono almeno 215 milioni i minori nel mondo costretti alavorare, la metà dei quali sono soggiogati alle forme peggiori qualisfruttamento sessuale e"compravendita". Tanto maggiore è la povertà di un Paese, tantosuperiori sono i rischi di degenerazione in tale direzione: anche l'Italia nonè immune da questa piaga se è vero, come dice l'Istat, che lavorano 144 milabambini tra i 7 e i 14 anni, cifra che invece secondo l'Ires - Cgil si aggirerebbe intorno ai 400 mila. Trai promotori della campagna internazionale "Stop child labour - School isthe best place to work", il Cesvi da anni è impegnato nella realizzazionedi "zone franche" anche nei contesti più difficili in cui la povertàregna sovrana. L'occasione per fare il punto della situazione è la Giornatamondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile fissata per domani, 12giugno.
In particolare, presentiamo i dati di uno studio effettuatoin
Kenya dove, dal 2011, il Cesvi ha avviato un articolato progetto per porreun freno alla sfruttamento del lavoro minorile, puntando sul
coinvolgimento ditutte le parti sociali nella convinzione che l'unica strada percorribile siaquella di una maggiore consapevolezza a tutti i livelli. Da una parte c'è lo
Stato, rappresentato dalle carceri minorili e dalle case di reclusione doveadolescenti con precedenti penali, in molti casi vittime di sfruttamento, necessitanodi un adeguato supporto psicosociale per rielaborare i drammi vissuti e diun'offerta formativa alternativa credibile su cui costruirsi un futuro diverso.Dall'altra si è cercato di far comprendere alle
imprese operanti sul territorioche il "Child labour free certificate", cioè il certificato cheattesta il non impiego di baby lavoratori, non è un ostacolo alla crescitaaziendale ma, anzi, può diventare un motivo di orgoglio e un'occasione dicrescita perché, offrendo all'esterno un'immagine migliore, è anche più faciletrovare investitori o partner stranieri. In mezzo, ovviamente, l'impegnocostante dei
cooperanti che accompagnano i ragazzi sulla strada che intenderiportarli a essere protagonisti delle loro vite nella pienezza dei propri dirittiuniversalmente riconosciuti e che vigilano con un'attenta opera di monitoraggiodelle catene produttive insistendo sulla promozione dell'impiego adulto.
Si inizia a 5 anni
L'ambizione di Cesvi in Kenya come in altri Paesi del mondoin cui è impegnato, dunque, èrealizzare delle aree interamente libere dal lavoro minorile: nellospecifico, operando in profondità nelle province di Nairobi e Nyanza, ci siaugura che si inneschi un circuito virtuoso che si estenda anche nel resto delPaese. Lo studio, effettuato in questi ultimi dodici mesi, ha fotografato unasituazione ovviamente drammatica in cui si nota come le bambine e leadolescenti siano maggiormente sfruttate nel lavoro domestico, nell'agricolturae nella prostituzione, mentre i maschi "dominano" i settori delriciclaggio dei rifiuti e della pesca: lavori usuranti, anche e soprattutto perdei minori, che sfociano in molti casi nel totale calpestamento dei dirittiinviolabili dell'infanzia.Il 56,4% dei bambini vittime di sfruttamento iniziano alavorare tra i 5 e i 9 anni: nelle aree urbane vengono assoldati in modoillegale nel business "informale" del riciclaggio dei rifiuti, al difuori delle grandi città predomina lo sfruttamento nel settore minerario. Dasegnalare anche il trasferimento di minori dalle zone rurali, dove vengonovenduti per pochi soldi, ai grandi centri come Nairobi (dove finisce il 95,45del totale dei bambini oggetto di "traffico"): la loro nuovadestinazione prevede riduzione in schiavitù per lavori domestici o mercato dellaprostituzione.
Già, perché tra le conseguenze negative che il lavorominorile comporta ci sono anche quelle legate allo stato di
salute: nei bambinilavoratori si registra un'incidenza altissima di tagli, ferite e, in generale,di malattie di ogni genere provocate o aggravate da malnutrizione (soprattuttonella provincia di Nyanza) o abusi (soprattutto nella provincia di Nairobi): il77.7% di coloro che hanno risposto al sondaggio ha ammesso di aver registratonell'ultimo periodo almeno 1-2 casi di morte di minori imputabile al lavorosvolto.
Una spaventosa povertà
In linea generale la causa principale che porta al lavorominorile è la povertà: in Kenya il 75,9% delle famiglie di origine dei bambinisfruttati vive sotto la soglia di povertà individuata convenzionalmente in 60dollari al mese: solo un bambino su quattro trattiene per sé quello cheguadagna, gli altri lo danno integralmente ai genitori o a chi si"occupa" di loro (integralmente nel 26,8% dei casi, in parte nel47,8%). Tra le concause che costringono i minori a lavorare, la morte o laseparazione dei genitori o il rifiuto a riconoscerli e a prendersene cura.
In questo percorso di costruzione di una maggioreconsapevolezza, i bambini stessi sembrano essere i più pronti: di fronte a domandadiretta, infatti, non hanno dubbi. Ben più della metà vorrebbe tornare a scuolaa tempo pieno, mentre la restante parte degli intervistati ha confermato ladisponibilità a lavorare purché in servizi prevalentemente domestici, ma nonprima dei dieci anni.
Diego Ottolini, responsabile Cesvi in Kenya dove si trovaattualmente, a corollario della ricerca ci ha scritto una nota per fareil punto sulle criticità del progetto:«Innanzitutto i sistemi di protezione dell'infanzia a livellocomunitario sidevono integrare con la volontà politica del governo di mettere in attointerventi di riforma nel settore della protezione minorile. La ricercadelconsenso sulle attività svolte deve passare necessariamente dalladisponibilitàdella società civile a collaborare attivamente. Una leva vincente per ilsuccessodel progetto è la resilienza dei ragazzi, cioè la loro innata capacitàdi farfronte a eventi traumatici con rinnovate energie e speranze. Infine,bisognariuscire a tenere saldi i legami familiari, soprattutto in ambito rurale, làdove si registrano i dati più sconcertanti sulla vendita di bambini».