di Roberta Scagliarini
"Non possiamo pensare di smettere di esistere solo per un terremoto, la mia azienda ha 40 anni di vita, fattura 260 milioni e non si fermerà. Certo i clienti che ci inviano messaggi di solidarietà dovranno sostituirci perché non possono smettere di curare i pazienti, ma noi ripartiremo".
Stefano Rimondi, presidente di Assobiomedica e amministratore delegato di Bellco, una delle realtà più importanti del distretto biomedicale di Mirandola, ci tiene a spazzare via le immagini di devastazione circolate dopo la scossa che ha devastato il modenese. "Il distretto biomedicale non è morto e non è raso al suolo - afferma - la maggior parte dei capannoni è in piedi. Non sappiamo ancora se ci vorranno settimane o mesi o magari un anno per rimetterlo a regime ma il distretto riaprirà".
Nonostante la paura per un sisma che in quelle zone sembra non finire mai e i tanti lutti tra i lavoratori e gli imprenditori c'è chi sta già ripartendo. Diverse aziende dell'area di Mirandola stanno cercando una soluzione temporanea per spostare la produzione o semplicemente spostare magazzini e i centri distributivi. "Confindustria di Modena ha messo a disposizione delle aree industriali dove spostare l'attività - spiega Rimondi - noi della Bellco abbiamo già individuato una capannone all'interporto di Bologna , un area meno colpita dalle scosse di quella modenese, trasferiremo li il centro distributivo molti colleghi si stanno dando da fare per trovare nuovi spazi in via temporanea".
L'importante, spiega il presidente della Confindustria delle aziende biomedicali, è non perdere le competenze delle migliaia di persone che lavorano per noi. "E ancora presto per dire se non sia il caso di traslocare l'intero polo in una zona con un rischio sismico minore - spiega Rimondi - ma di sicuro non possiamo e non dobbiamo andare lontano perché l'unico modo perché il nostro distretto e le sue azienda sopravvivano è che i siti produttivi siano raggiungibile dalla nostra gente, dalle cinquemila persone del cui know how abbiamo bisogno".
Il polo emiliano raggruppa un centinaio di aziende per un fatturato che sfiora il miliardo e un quota di export del 60%. Le impese capofila che hanno dimensioni multinazionali sono cinque: Sorin, filale del gruppo quotato in borsa specializzato in ossigenatori per sangue e macchine era autotrasfusioni, la svedese Gambro che produce macchine per dialisi, Bellco nata da uno spin off della Sorin specializzata in apparecchiature per cardiologie e terapia intensiva, l'americana Covidien ex braccio operativo della multinazionale Mallinkrodt che produce dispositivi monouso per anestesia e rianimazione, la tedesca B.Braun che fa sacche per la nutrizione e Fresenius concentrata nei filtri per depurare il sangue. A fianco di questi gruppi di maggiori dimensioni sono nate negli anni decine di piccole aziende super-specializzate ognuna con i suoi brevetti e prodotti nuovi frutto di anni di ricerca e di milioni di investimenti.
Per queste realtà si è parlato di danni per 500 milioni. Ma Rimondi smentisce. "Finché non si può entrare nei capannoni - spiega - e la protezione civile non ci autorizza è difficile fare delle stime dei danni approfondite e meticolose alle strutture e ai macchinari".
Le ripercussioni della fermata del distretto sulle forniture di dispositivi per emodialisi agli ospedali è già risolto. "Col ministero della Salute stiamo predisponendo un piano di emergenza per mettere in sicurezza le forniture di dispostivi medici agli ospedali - spiega Rimondi - le altre aziende del settore faranno la loro parte per sostituire quelle colpito dal terremoto".