Una delle cose che mi infastidisce di più nei miei giri in bici sull'Appennino è incontrare signori che hanno molte più primavere di me alle spalle e che mi superano in scioltezza mentre sto arrancando su una qualche salita. Mi consolo pensando che si tratta presumibilmente di pensionati molto ben allenati perché hanno molto più tempo di me da dedicare alle gite in bicicletta. Sono dei veri e propri "ciclisti d'anzianità" che hanno percepito pensioni a partire da 57 anni, se non prima. Anche all'estero cresce il novero di "giovani anziani", persone tra i 60 e i 70 anni in buona salute che non svolgono alcuna attività. Significativamente sono più numerosi proprio dove si registrano dei veri e propri record anche nel novero di giovani NEET (Not in Education, Employment, and Training), che non lavorano e non studiano al tempo stesso, a riprova del fatto che non è mandando le persone in pensione prima che si liberano posti di lavoro per i più giovani. Al contrario un ritiro precoce dalla vita attiva crea problemi ai giovani e agli stessi anziani quando raggiungeranno l'età in cui non saranno più in condizione di guadagnarsi da vivere.


La Grande Recessione e poi la crisi del debito hanno aperto non solo in Italia una grande questione giovanile e una grande questione degli anziani. I primi hanno seri problemi a entrare nel mercato del lavoro e a iniziare il loro ciclo di vita. I secondi faticano a chiuderlo serenamente perché hanno seri problemi di liquidità verso la fine della loro esistenza.
La crisi in effetti è destinata a lasciare cicatrici profonde nelle generazioni che si sono trovate, loro malgrado, ad entrare nel mondo del lavoro durante la Grande Recessione e la crisi del debito pubblico. Gli eventi negativi lasciano spesso tracce persistenti nei comportamenti degli individui, ne pregiudicano le carriere e i tempi con cui costruiscono una famiglia, ritardano il momento in cui cominciano ad accumulare ricchezza per la propria vecchiaia, li espongono a futuri rischi di disoccupazione, possono avere effetti anche a molti anni di distanza sulla loro salute. Il rischio è di avere intere generazioni di perdenti anche perché la crisi ci lascerà in eredità, tra l'altro, un alto debito pubblico i cui oneri finiranno per gravare come un macigno sulle generazioni che iniziano oggi a lavorare.


Soprattutto nei paesi che hanno vissuto lo scoppio di una bolla immobiliare sono aumentati durante la crisi gli ultranovantenni che hanno scoperto che anche i prezzi delle case possono andar giù e che si trovano a pagare tasse sulle abitazioni troppo alte per i loro redditi perché sono "house rich" e "cash poor", cioè hanno una casa di proprietà di una certa dimensione, ma non i redditi per mantenerla e per assicurarsi uno standard di vita dignitoso. Molti di loro hanno investito tutti i loro averi in una casa e non pensavano di vivere così a lungo. In buona compagnia di illustri demografi, avevano ignorato gli incredibili progressi della medicina che ci hanno portato a guadagnare due anni e mezzo di vita ogni dieci vissuti.


La crisi ha modificato il ciclo di vita di intere generazioni. Sono tipicamente i giovani a risparmiare, mettendo via risorse per la loro vecchiaia, e gli anziani a consumare più di quanto guadagnino. Questi comportamenti possono essere spiegati dal desiderio delle persone di non subire forti alterazioni nei propri standard di vita, nei propri consumi e anche nelle proprie abitudini durante l'intero arco della vita. Le grandi crisi ostacolano queste scelte, soprattutto laddove le istituzioni pubbliche non sono in grado di fornire agli individui assicurazioni contro eventi avversi. Quindi i giovani tardano a risparmiare e i vecchi non possono spendere quanto avevano accumulato perché il loro patrimonio è illiquido.


Diverse istituzioni pubbliche facilitano gli individui nel loro desiderio di non subire fluttuazioni troppo forti dei loro standard di vita durante la propria esistenza, anche in presenza di eventi avversi, quali la chiusura dell'azienda in cui si lavora, una malattia o il divorzio. Le assicurazioni sociali e, in particolare, i sistemi pensionistici si preoccupano di garantire redditi adeguati anche quando le persone vivono più a lungo di quanto preventivato o hanno avuto carriere lavorative discontinue, finendo per mettere poco da parte per la propria vecchiaia. Nell'assolvere a queste funzioni, le istituzioni pubbliche operano redistribuzioni tra generazioni, anziché semplicemente cambiare il profilo temporale dei redditi di un singolo individuo. Mettono così in essere dei patti intergenerazionali. Ad esempio, le pensioni degli attuali pensionati sono pagate dagli attuali lavoratori. E se il numero di chi paga si assottiglia perché nascono meno figli e quello di chi riceve si allarga perché si vive più a lungo senza lavorare, questo patto intergenerazionale rischia di saltare. Non è un caso che Franco Modigliani, l'inventore della teoria del ciclo di vita, abbia dedicato moltissima attenzione alla sostenibilità tra generazioni dei sistemi pensionistici. I due problemi, quello della stabilità dei redditi nel ciclo di vita e dei rapporti fra generazioni, sono strettamente intrecciati. In una delle sue ultime visite in Italia, Modigliani si vide porre da un signore molto in là negli anni (ma non più vecchio di quanto fosse allora il grande economista) la seguente domanda: "ma perché lei si preoccupa dei costi delle pensioni di noi vecchi? Prima o poi, tanto, moriamo tutti". Questo signore ragionava come se le generazioni si succedessero l'una all'altra, come vite che si susseguono. Si nasce e si muore, poi tocca a un'altra generazione. È un modo di pensare fuorviante perché impedisce di cogliere le tante interazioni che ci sono tra generazioni successive. La vita delle nuove generazioni dipende in grande misura dal destino che viene loro assegnato non da chi ha completato il proprio ciclo di vita prima della loro apparizione, ma da chi oggi sta decidendo per loro.


L'aumento della longevità aumenta il numero di queste sovrapposizioni fra generazioni diverse. Una volta era difficile conoscere i nonni. Oggi si finisce spesso per avere anche i bisnonni. Una percezione sbagliata di queste interazioni può condannare i nostri figli ad un'esistenza molto difficile. La spesa pubblica e, in particolare, le politiche sociali in molti paesi sono spesso squilibrate a favore degli anziani e ai danni dei giovani, anche per il crescente peso che i primi hanno nel corpo elettorale. Ci sono anche istituzioni che anziché operare redistribuzioni dai giovani agli anziani, operano trasferimenti in senso opposto, da chi è più vecchio a chi è più giovane. La scuola è una di queste istituzioni: per questo riceve una particolare attenzione in questa edizione del Festival. Si parlerà molto anche di ingresso nel mondo del lavoro e di formazione sul posto di lavoro. Verranno esaminati inoltre i patti intergenerazionali informali, così importanti nel campo dell'assistenza alle persone non autosufficienti, dai genitori che aiutano i figli nella cura dei nipoti soprattutto quando mancano gli asili nido, ai figli che assistono i loro genitori. Perché c'è un patto intergenerazionale anche in molte scelte all'interno della famiglia. E anche questo patto privato oggi rischia di saltare. In questo caso il problema risiede più nel contributo che i giovani danno agli anziani che viceversa. Il fatto è che anche una famiglia sempre più piccola, perché diminuisce il numero di figli, deve spesso supplire all'assenza di servizi per gli anziani non autosufficienti. In molti paesi si dà molto agli ultracinquantenni che sono ancora nel pieno delle loro forze e poco, troppo poco, agli anziani non più autosufficienti. E sono quasi sempre le donne che si devono prendere cura dei genitori e dei suoceri, sottraendo tempo al proprio lavoro, alla propria realizzazione professionale e, dunque, ritoccando all'ingiù le loro pensioni future.


Tito Boeri
Responsabile scientifico del Festival dell'Economia

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