Lidia Baratta
Lunghe code agli sportelli, appuntamenti che slittano di mesi e pronto soccorso che scoppia. La soluzione per snellire la sanità italiana potrebbe nascondersi nelle cooperative di medici generici. Che in Italia sono ormai più di 200. Il vantaggio è una copertura oraria maggiore, che riduce la corsa agli ospedali.
Lunghe code agli sportelli, appuntamenti che slittano di mesi e pronto soccorso che scoppia. La soluzione per snellire la sanità italiana potrebbe nascondersi nelle cooperative di medici generici. Che in Italia sono ormai più di 200: il 10% dei medici di base del nostro Paese lavora in forma associativa, con un picco del 24% in Lombardia. «Si tratta di cooperative», spiega Alberto Aronica, presidente della cooperativa medici Milano centro, «fatte da professionisti che mettono insieme i fattori di produzione del reddito, riducendo quindi i costi e fornendo diversi vantaggi ai pazienti». A partire da una copertura oraria maggiore, che riduce la corsa al pronto soccorso e agli ospedali.
Mentre la prestazione medica classica resta individuale e ogni camice bianco continua a ricevere i pazienti nel suo studio, nella forma cooperativa l'attività viene gestita in comune tra i diversi soci. Sedi e strutture, personale, attrezzature e organizzazione vengono condivisi. La forma giuridica è quella della cooperativa di servizi socio-sanitari, diversa dalla società cooperativa di lavoro, che garantisce la redistribuzione degli eventuali utili in servizi per la professione e la condivisione della progettualità e degli obiettivi. Lontane dalla corsa al maggior numero di mutuati del film Il medico della mutua con Alberto Sordi, le cooperative di medici generici «puntano a un budget etico, basato cioè non sulla quantità ma sulla qualità del servizio sanitario offerto».
In Italia, i primi riferimenti legislativi in tema di associazionismo in medicina generale risalgono al 1992. Il modello sono il "Centro Attencion primaria" spagnolo e le "Community of general Practitioner" inglesi. Successivamente, con un decreto legislativo del 1999, viene identificato il distretto come struttura essenziale al sistema sanitario nazionale, riconoscendo quindi l'importanza del medico di medicina generale come responsabile della "territorializzazione" dell'assistenza. Nel 2000, poi, il regolamento dell'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti tra i medici di base ha favorito per la prima volta nuove forme organizzative con l'obiettivo di migliorare l'assistenza di primo livello e decongestionare quindi le strutture pubbliche. E i piani sanitari nazionali successivi hanno continuato a puntare sulla «promozione del territorio quale primaria sede di assistenza e di governo dei percorsi sanitari e socio sanitari».
La medicina generale, in questo modo, non viene più concepita come un semplice filtro tra paziente e sistema sanitario, ma come punto di riferimento territoriale per i problemi di salute dei pazienti. Se questo permette di aumentare la qualità dei servizi, implica anche cambiamenti nell'organizzazione del lavoro. All'approccio singolo del medico, va quindi sostituita una visione associazionistica tra diverse professionalità sanitarie, che permette di migliorare le competenze dei medici di base e la qualità dei servizi offerti. Oltre al medico generico, infatti, nelle strutture cooperative lavorano anche pediatri, infermieri e medici specialisti. E i servizi offerti non sono più "generalisti", ma specializzati e tecnologicamente attrezzati.
Oltre che meno dispendiosa per i medici, che dividono tra loro i costi d'affitto e le bollette degli studi, questa soluzione risulta quindi anche vantaggiosa per il paziente. A partire proprio dalla continuità assistenziale garantita per l'intero arco della giornata e per tutti i giorni della settimana. «Nel nostro caso», spiega Aronica, «garantiamo una copertura di 6 giorni su 7, dalle 9 alle 20». Ogni paziente continua ad avere il suo medico di riferimento. Perché, precisa Aronica, «il rapporto fiduciario con il proprio dottore resta fondamentale». Ma il paziente sa comunque di poter trovare sempre un altro medico a qualsiasi ora. «Così», spiega Aronica, «in ospedale finiranno solo le urgenze». E per la tosse, il raffreddore, il mal di schiena o il mal di denti ci si rivolgerà, anche nel week end, alla cooperativa sanitaria di riferimento. «Quello a cui si pensa», continua il presidente della cooperativa Milano centro, «sono gli anziani, i disabili e soprattutto i pazienti affetti da malattie croniche, cioè quelle che comportano sintomi costanti nel tempo, per i quali le cure possono anche essere effettuate a casa, offrendo quindi anche un servizio domiciliare». In ogni caso, in base ai bisogni di ciascuna realtà territoriale, la cooperativa di medici di base fornirà diversi tipi di servizi. Nel caso della periferia, ad esempio, è importante che la struttura sanitaria sia facilmente accessibile con i mezzi pubblici. In città, invece, è importante che la cooperativa resti aperta anche nel week end, perché molti cittadini durante la settimana lavorano in città o all'estero.
Alla creazione delle prime cooperative, dalla fine degli anni Novanta è stato affiancato anche un sistema informativo che consente di condividere i dati clinici dei pazienti. «Nel 1999», aggiunge Aronica, «abbiamo comprato un software poco diffuso e abbiamo costruito nel tempo un sistema evoluto che consente a tutti i software di dialogare tra loro. In questo modo il medico può usare il programma che vuole per poter accedere a una banca dati di informazioni sulle patologie prevalenti e sulle cartelle cliniche dei pazienti che hanno dato il consenso».
A Milano, l'amministrazione comunale ha siglato un accordo con i consigli di zona 1 e 9, perché venga fatto un inventario degli immobili in disuso che potrebbero essere riutilizzati come sedi di cooperative socio-sanitarie. «L'idea», spiega Aronica, «è quella che la cooperativa ristruttura l'immobile e lo affitta a un prezzo calmierato, più basso di quello di mercato, offrendo anche spazio ai servizi sociali comunali, che verranno affiancati all'offerta medica». Il contratto, però, specifica Aronica, «deve essere almeno di quattro anni più quattro, di modo che il servizio non venga interrotto con il cambio d'amministrazione comunale». L'aspetto importante resta «l'affiancamento del medico agli assistenti sociali, che sono importanti soprattutto nel caso degli anziani, per i quali si deve evitare l'ospizio, creando in ogni quartiere case socio-sanitarie che possano assisterli».
Inizialmente, alla fine degli anni Novanta, in pochi credevano al progetto delle cooperative sanitarie. «Un esempio eclatante è quello dello stabile di via Palermo a Milano», spiega Aronica, «uno spazio abbandonato nel retro dell'ufficio di igiene appartenente all'ospedale Fatebenefratelli». Dopo più di dieci anni, «sembra che qualcuno finalmente si sia interessato al progetto per la creazione di un centro polifunzionale di zona gestito dai medici di medicina generale». Solo in questo modo, conclude, «verrà restituito un ruolo fondamentale alla medicina generale. Per decongestionare gli ospedali e curare a casa i pazienti affetti da malattie croniche».
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