Le storie dei gruppi anti-cemento
In Italia sono centinaia le associazioni spontanee contro il consumo del territorio. Una lotta ogni tanto vittoriosa.

«Baia Vallugola è una delle aree meno cementificate della costa Adriatica, nelle Marche, ma la costa romagnola è a due passi. Qui si riparavano le navi dei greci e dei romani. Rischiava di essere spazzato via dalla realizzazione di un nuovo porto turistico, un progetto devastante che è stato bloccato solo grazie alla tenacia degli abitanti della zona». Luca Martinelli, redattore di Altreconomia è l'autore di «Salviamo il paesaggio!» , viaggio attraverso le esperienze dei comitati che in tutto il Paese lottano per «dire stop al cemento» e delle amministrazioni che «preferiscono gli onori della tutela del suolo, agli oneri di urbanizzazione nel loro bilancio». «A Baia Vallugola i cittadini hanno lanciato anche una lettera aperta: uno strumento semplice, alla portata di tutti, ma efficacissimo se tra i firmatari ci sono anche i nomi del Nobel Dario Fo e del cantante Samuele Bersani».

L'ONDA GRIGIA - In Italia le realtà che tentano di «fermare il cemento» sono centinaia. Secondo il «Forum Nimby» , progetto di ricerca sul fenomeno delle contestazioni territoriali ambientali, gestito dall'associazione no profit Aris (Agenzia di Ricerche Informazione e Società), le infrastrutture e gli impianti oggetto di contestazioni sarebbero 331. I numeri della cementificazione fanno paura. Il rapporto Annuale sulla situazione generale del paese, diffuso martedì dall'Istat, parla chiaro. In Italia si consuma più suolo che nel resto d'Europa: il 7,3% del territorio non è più naturale, contro una media europea pari al 4,3%. L'estensione di centri e nuclei abitati, complessivamente pari a circa 20.300 km2 è cresciuta dell'8,8% fra il 2001 e il 2011, una superficie pari a quella della provincia di Milano. Inoltre, se negli ultimi dieci anni si è consumato a un ritmo medio di circa 43 ettari giornalieri, secondo il dossier «Terra rubata», pubblicato recentemente da Fai e Wwf, il consumo di suolo entro i prossimi vent'anni potrebbe arrivare a 75 ettari al giorno.

L'ITALIA CHE RESISTE - In molti, di fronte a queste cifre, stanno semplicemente a guardare. Altri invece scelgono, insieme, di provare a tirare il freno a mano. Spesso ci riescono. «Un gruppo di lavoro composto da circa 200 persone ha avviato un percorso di progettazione partecipata per recuperare il Forte Marghera, trentaquattro ettari di terra, acqua e canali all'incrocio di alcune vie principali tra Mestre e Venezia», racconta Martinelli, che nel libro ha raccolto 19 storie di guerra all'«onda grigia». «A Salerno, il "Comitato No Crescent" si oppone al progetto fuori scala dell'archistar Ricardo Bofill, che "deturperebbe" il lungomare della città campana con una cubatura tripla del Fuenti, l'edificio per cui fu coniato il termine "ecomostro". In Piemonte lo stop al cemento passa da Venaus, in Valsusa, il primo comune ad approvare un piano regolatore a crescita "zero". La Provincia di Torino invece, dopo aver perso 4mila ettari di suoli fertili dal 1990 al 2006, ha approvato un Piano di coordinamento provinciale che salvaguardia i terreni agricoli».

COME FARE - Passare all'azione contro la cementificazione selvaggia si può. «Basta avere gli strumenti giusti», sottolinea Martinelli, che nel libro spiega per filo e per segno come fare. «Per organizzare la resistenza bisogna prima conoscere le "armi" a disposizione, dall'accesso agli atti al diritto alla trasparenza, dai soggetti competenti nelle procedure - enti locali, giudici e tribunali - alle modalità e i costi per presentare istanze e ricorsi». Creare un Comitato di cittadini, organizzare una manifestazione o proporre una "legge d'iniziativa popolare non è difficile. «Per trasformare una "vertenza" in una scelta collettiva però, è sempre necessario produrre un cambiamento "culturale" nella comunità di riferimento. E poi servono anche competenze tecnico-giuridiche, perché chi si oppone a cave, cementifici e porti turistici, o a un lunghissimo gasdotto, necessita spesso dell'aiuto di un avvocato».

Federica Seneghini

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