Il rapporto sulla spending review, consegnato lo scorso 30 aprile al Presidente Monti dal ministro dei Rapporti con il Parlamento Piero Giarda, indica la strada che il Governo dovrà seguire per ridurre i costi pubblici e rendere più efficiente e meno onerosa la Pubblica Amministrazione. Una sorta di "ristrutturazione aziendale", quella della PA, che verrà affidata al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione Patroni Griffi.

Se è vero che un Paese non può vivere senza spesa pubblica, lo è altrettanto che esso sarà condannato a stagnazione economica e instabilità finanziaria se questa cresce troppo rapidamente. Per questo motivo, come sottolinea lo stesso Giarda riprendendo i concetti espressi già nel 1700 da Adam Smith ne La Ricchezza delle Nazioni, una seria revisione della spesa pubblica in Italia non è più procrastinabile.

La spesa pubblica "rivedibile'' nel medio periodo è pari a circa 295 miliardi di euro, mentre nel breve è stimabile in circa 80 miliardi. Il Governo ha deciso per una riduzione della spesa pubblica di 4,2 miliardi per l'anno 2012, al quale tutte le amministrazioni pubbliche devono concorrere. In merito a questa necessità, il Consiglio dei Ministri del 27 gennaio ha costituito un comitato di ministri (Giarda, Grilli e Patroni Griffi) che si è dedicato negli ultimi mesi all'esame della spesa di alcuni Ministeri (Interno, Istruzione, Giustizia, Difesa e Affari Regionali).

La prima parte del rapporto analizza la struttura della spesa pubblica del Paese, individuandone le anomalie, mentre la seconda ricostruisce il lavoro svolto in direzione della riorganizzazione del sistema tra febbraio e aprile di quest'anno grazie all'avvio di processi di revisione della spesa dei Ministeri e dell'INPS.

Per quanto riguarda la struttura della spesa, la percentuale dedicata alla fornitura di servizi pubblici e al sostegno di individui e imprese in difficoltà economica è inferiore alla media dei paesi OCSE, mentre quella per interessi passivi e pensioni è molto superiore. Il sistema è quindi "ingessato" dal livello della spesa per interessi da un lato, e dalle pensioni dall'altro. E nonostante gli interventi del decreto "Salva Italia", scrive Giarda, la spesa per pensioni continuerà ancora a crescere in valore assoluto.

I dati ISTAT mostrano inoltre che i costi di produzione dei servizi pubblici (scuola, sanità, difesa, giustizia, polizia, ecc.) sono cresciuti nel tempo molto più rapidamente di quelli relativi ai beni di consumo privati. Se i primi fossero aumentati nella stessa misura dei secondi, la spesa per consumi collettivi nel 2010 sarebbe stata di 73 miliardi di euro più bassa di quella registrata, con effetti positivi sull'aumento della pressione tributaria. Benché il problema sia comune anche ad altri paesi, l'effetto sull'economia italiana è particolarmente drammatico. In aggiunta a queste componenti dinamiche, conclude il Ministro, gli alti costi dei servizi pubblici sono dovuti anche a una diffusa carenza di capacità gestionale che riguarda l'organizzazione del lavoro, le politiche retributive e le attività di acquisto dei beni necessari per il buon funzionamento della macchina pubblica.

Negli ultimi anni poi la composizione della spesa ha subito importanti modifiche, non sempre positive. Tra queste, la forte crescita della spesa sanitaria, salita dal 32,3% della spesa totale del 1990 al 37,0% del 2009, e di quella per la protezione sociale e per i servizi generali. Come mostra la tabella 1, sono invece diminuite drammaticamente la spesa per l'istruzione, dal 23,1% al 17,7%, e quella per l'ordine pubblico e la sicurezza, passata dall'8,9% al 7,9% del totale.

Tabella 1. La composizione della spesa pubblica per funzioni, anni 1990-2009


Fonte: Elementi per una revisione della spesa pubblica (versione del 8 maggio 2012 - P. Giarda), p. 7.

Le dinamiche di carattere demografico legate all'invecchiamento della popolazione contribuiscono a spiegare il fenomeno, senza però dimenticare le conseguenze del diverso potere negoziale dei gruppi interessati, anziani e giovani, di fronte ai rappresentanti politici. Come sottolineato nel rapporto, la sanità trova nei governi regionali (per i quali la spesa sanitaria assorbe circa il 70 per cento della spesa complessiva) potenti interpreti dei bisogni delle popolazioni interessate, accompagnati dagli interessi delle ditte fornitrici di farmaci e attrezzature sanitarie.

Tuttavia, per quanto il problema della riorganizzazione della spesa debba essere affrontato anche in campo sanitario, con una responsabilità più evidente e forte anche da parte delle regioni, si sono levate molte voci a far notare che, da un lato, oggi l'Italia spende per la sanità il 20% in meno rispetto agli altri paesi europei e che quindi molto è già stato fatto in termini di contenimento della spesa, riduzione degli sprechi e ottimizzazione delle risorse e, dall'altro, che una parte del problema continua a risiedere nel divario tra le regioni. Sotto questo profilo i piani di rientro hanno certamente contribuito a contenere la spesa ma non ancora a investire nella qualità del sistema, soprattutto là dove - come nelle regioni del Sud - si registrano maggiori problemi di inefficienza.

Colozzi, Assessore al Bilancio della Regione Lombardia e coordinatore di tutti gli Assessori regionali al Bilancio, evidenzia appunto la necessità di interventi "chirurgici" per evitare misure "ingiuste nei confronti di chi, a livello periferico, ha dimostrato di essere forse anche più avanti dello Stato centrale in fatto di ottimizzazione delle risorse finanziarie disponibili".?E' quindi di cruciale importanza l'individuazione di criteri e parametri uniformi ma anche la messa in campo di analisi mirate per evitare che siano proprio le regioni più virtuose a essere sottoposte ai tagli della spesa.

Possibili aree di intervento vengono infine suggerite e argomentate da Cavicchi, che in un suo recente libro affronta il tema della programmazione sanitaria, strettamente connessa con la spending review. "Se dovessi fare una spending review in sanità - afferma Cavicchi - metterei in lista la corruzione, la medicina difensiva, il contenzioso legale, i comportamenti opportunisti, una azienda sbagliata, l'indice di deprivazione, la quota capitaria, una prevenzione marginale, la lottizzazione degli incarichi, i distretti macro-strutturali, i dipartimenti finti". Un lungo elenco che evidenzia che c'è invece molto margine di intervento non solo per ottenere un sistema sanitario di qualità, ma anche attento al risparmio e al contenimento dei costi.

Circa l'ipotesi di spending review in campo sanitario, è invece critica la posizione della CGIL. Nel documento elaborato dal sindacato si legge infatti: "La spending review ipotizzata dal Governo si configura non solo come una opera di riqualificazione della spesa inappropriata, certamente necessaria, ma anche come una riduzione del finanziamento sanitario, fino alla possibile privatizzazione di alcune attività, riducendo i confini della copertura pubblica e universale. Confermando i pesanti tagli delle ultime manovre e il rischio di compromettere il sistema sanitario pubblico e quindi il diritto costituzionale alla salute e alle cure". Senza contare che, sempre secondo la CGIL, tagliare ancora i finanziamenti al SSN significherebbe alimentare la spesa a carico dei cittadini, specialmente quella spesa out of pocket che in Italia è già elevata.

Passando a scuola e sicurezza, entrambi i settori sono stati negli ultimi 20 anni rappresentati da ministri appartenuti a 13 Governi, e sono costituiti da una burocrazia di quasi 1,4 milioni di dipendenti pubblici distribuiti sul territorio in strutture tecnologicamente molto arretrate. Per quanto riguarda i rapporti centro-periferia, le entrate proprie di comuni, province e regioni sono inferiori rispetto al totale delle loro spese. Grandezza della popolazione e area geografica di appartenenza determinano inoltre diverse dinamiche di spesa.

Quanto spende il pubblico nelle diverse regioni italiane? Il rapporto fornisce una stima di come Stato, regioni ed enti locali concorrono alle spese per retribuzioni pubbliche e per l'acquisto di beni e servizi erogati nel territorio. La tabella 2 mostra profonde diversità nei costi di produzione dei servizi statali e quindi nei valori della spesa per abitante, con differenze nel contributo pubblico che vanno dai 1.205 euro della Lombardia ai 2.792 del Lazio.

Tabella 2. Pagamenti dell'anno 2009 per redditi da lavoro e consumi intermedi, valori in euro pro-capite


Fonte: Elementi per una revisione della spesa pubblica (versione del 8 maggio 2012 - P. Giarda), p. 15.

Se l'economia stesse crescendo, anche se lievemente, la revisione della spesa potrebbe essere finalizzata al raggiungimento di una maggiore produttività per il cittadino. Nel presente contesto invece, conclude Giarda, la spending review deve articolarsi in due percorsi strategici. Il primo consiste nella riduzione delle inefficienze attraverso eliminazione degli sprechi e innovazione nell'organizzazione della produzione, mentre il secondo comprende una generalizzata ridefinizione dei confini dell'intervento pubblico in un'ottica di retrenchment.

La riduzione, non lineare ma selettiva, della spesa sarà realizzata potenziando la linea di risparmio già iniziata dal Governo nei primi mesi di attività, che ha visto tra le misure adottate la diminuzione delle consulenze, i tagli all'organico, la riduzione degli stipendi dei manager pubblici, i tagli sui voli di stato e sulle "auto blu", la soppressione di enti, e la riforma delle province.

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